venerdì 21 dicembre 2007

Sempre sugli atleti "maturi" (e Buon Natale)

Dopo aver letto l'ultimo post di Alberto Giorda sugli atleti "maturi", vorrei ampliare il discorso oltre l'aspetto tecnico, rimarcando alcuni altri aspetti che il lavorare con uno o più atleti esperti in palestra porta con se. Ovviamente non si può fare di tutta l'erba un fascio, ma in generale ci sono degli aspetti comuni a questi atleti che vorrei sottolineare.
Diciamo che noi allenatori ci dividiamo in due categorie, più o meno distinte, quelli che considerano gli atleti maturi come preziosi, e quelli che li considerano dei rompiballe.
Si, perchè un atleta adulto è quasi sempre anche un rompiscatole: è uno che se ci inventiamo una cagata di esercizio si gira di palle e lo fa male, se lo facciamo sfreddare si lamenta, se lo teniamo in battuta mezz'ora s'incazza, se lo mettiamo in coppia col ragazzino scarso ci guarda sbuffando... insomma tutto il contrario di una ragazzina di 15 anni, che qualunque schifezza di lavoro gli facciamo fare sta zitta (vabbè non tutte...lo so) e lavora... al limite si lamenta con le compagne nello spogliatoio.
Siamo tutti buoni a fare i grandi allenatori con i ragazzini, ma con gli adulti? Noooo, non è colpa nostra: sono loro che sono dei rompiballe! Basta con questi grandi, che ce ne facciamo? Anzi guarda, l'anno prossimo direi di non fare più neanche la prima divisione, facciamo solo l'Under 18, cosi i ragazzi giocano lo stesso e questi ce li togliamo di mezzo una volta per tutte.
Mah...
Quante volte ho sentito parole simili, da colleghi allenatori e da dirigenti. Che dire. Io penso che gli atleti maturi siano una risorsa enorme, sia per noi allenatori, in quanto non hanno problemi a dircelo quando non sono d'accordo con noi, sia per far crescere i compagni più giovani. Quando giocavo penso di aver imparato tanto dai miei compagni più grandi, e anche gli atteggiamenti negativi di qualcuno in un certo senso mi hanno fatto crescere, mettendomi di fronte a ciò che era giusto o sbagliato fare in palestra. Ricordo ancora lo sguardo incazzato del compagno "bravo" a fianco a me quando sbagliavo una ricezione, che mi puniva più di qualsiasi urlo dell'allenatore. Ma anche le pacche sulla spalla quando facevo qualcosa di buono, che forse non si aspettavano da me... era come avere 5-6 allenatori in palestra, ciò che sfuggiva all'allenatore, non sfuggiva a loro.
Oggi molti atleti arrivano a 18 anni avendo giocato quasi esclusivamente con persone della loro età; Ma quando l'allenatore gira le spalle un attimo, che succede? Chi gli insegna come stare in palestra e come comportarsi in una squadra? L'allenatore può essere sbeffeggiato, ci si può "passare" quando non guarda, si può sfotterlo alle spalle, come col professore a scuola. Ma coi compagni più grandi è difficile, perchè il "compagno grande" non è un allenatore, e non gliene frega niente se il ragazzino può diventare forte o no: O sei forte ora, oppure devi impegnarti per diventarlo. Punto. Di tute le menate che pensano i dirigenti e gli allenatori non gliene frega niente.
Vorrei fare una proposta provocatoria in questo senso. Basta con le squadre di soli ragazzini, sono secondo me una delle cause principali della bassissima qualità dei giovani oggi in Sardegna. Propongo l'obbligo di due over 28 in ogni squadra under :).
Ovviamente scherzo, ma bisogna iniziare a capire che i giovani devono avere dei punti di riferimento in squadra, l'allenatore non basta.
A proposito... BUON NATALE A TUTTI!

mercoledì 12 dicembre 2007

La Motivazione negli atleti "maturi"

Mi capita quest’anno di vivere in prima persona la gestione dei problemi motivazionali nei gruppi cosiddetti “variegati”, quelli cioè in cui convivono insieme giovani di belle speranze con giocatori evoluti, convogliati insieme per un unico obbiettivo di squadra.
Generalmente si attrezza una squadra giovane per affrontare campionati seniores con l’ausilio di due o tre elementi di tasso tecnico elevato che possano sopperire ad eventuali limiti tecnici e psicologici dei giovani compagni. In una realtà del genere si può ben capire che per un atleta giovane la stagione diventa doppiamente stimolante, sia perché con l’incremento del tasso tecnico aumenta il livello di competitività della squadra di cui il giovane è parte integrante, sia perché durante gli allenamenti l’attenzione, alimentata dallo spirito di emulazione verso i compagni più esperti, rimane sempre elevatissima.
Ci siamo invece mai posti il problema dei cosiddetti “anziani”, in altre parole come si fa a tenere alto il livello di motivazione in atleti cosiddetti “maturi” che devono quotidianamente convivere con i rendimenti altalenanti e le mancanze di continuità dei loro compagni più giovani?
Al di là dei cosiddetti incentivi economici che possono convincere un atleta esperto a mettersi in discussione con un gruppo più giovane è innegabile che ci sia anche una componente psicologica che non bisogna trascurare.
In alcuni casi penso che ci sia una predisposizione naturale per alcuni senior ad accettare questo ruolo di “coach” aggiunto dentro e fuori dal campo (in altri termini non tutti sono disposti a tollerare allo stesso modo la mole di errori e la mancanza di continuità di prestazione di un ragazzo durante gli allenamenti o le partite), per cui questa “missione” di contribuire alla crescita del giovane pallavolista è in questi atleti automotivante.
Ma non sempre questo accade, ed allora l’allenatore deve intervenire cercando quegli spunti affinché il livello di attenzione e di buona predisposizione verso l’obbiettivo comune di squadra rimanga sempre alto onde evitare che si generino preoccupanti situazioni destabilizzanti per il gruppo che talvolta possono portare anche a dolorosi allontanamenti (volontari o coatti).
In cosa consistono questi spunti? Beh si parte dal presupposto che per qualunque giocatore, per quanto anziano o esperto o blasonato, è impossibile che non esistano degli aspetti tecnici o tattici per i quali non ci siano ulteriori margini di miglioramento. E proprio da qui che secondo me bisogna partire, fissando anche con questi atleti dei piccoli obbiettivi tecnici o tattici per i quali ci si aspetta un feedback positivo nel corso della stagione. (ad. es. l’alzata in bagher per un palleggiatore evoluto, o il miglioramento di una direzione del bagher laterale per un ricevitore, o l’alzata per un centrale, o una tecnica difensiva…)
In questo modo si dovrebbe ottenere un duplice risultato:

  • Il livello di motivazione per questi atleti, che non si sentono più soltanto delle “balie asciutte”, dovrebbe rimanere inalterato durante tutta la stagione, finalizzato al raggiungimento del loro obbiettivo individuale.
  • La presa di coscienza di non essere perfetti ma di avere margini di miglioramento li dovrebbe rendere sicuramente più tolleranti nel sopportare le lacune dei giovani compagni.

mercoledì 28 novembre 2007

L'ottica dell'allenatore

Un problema che ho avuto quando ho iniziato a allenare è stato il guardare la partita con il coinvolgimento del giocatore, piano piano ho capito che dovevo guardare la partita da una maggiore distanza, ora mi spiego. Il giocatore valuta i palloni uno per uno, giro alla volta, si concentra nel massimo risultato per la singola palla, se anche l’allenatore usasse quest’ottica non capirebbe la partita, non avrebbe la lontananza giusta per capire l’evolversi della partita e capire su cosa intervenire, diciamo che dovrebbe essere quasi un dottore a bordo campo che cerca di trovare la medicina giusta al suo malato con la lucidità e il distacco che permetta di far funzionare il cervello. Troppo spesso invece presi dall’andamento della gara e il sangue al cervello che annebbia la vista ci troviamo più in palla dei giocatori, cosa che dovrebbe essere evitata ma cosa che è più facile a dirsi che a farsi, sarebbe meglio sforzarsi e guardare la partita da un ottica più lontana, che permetta non di guardare le azioni singole, ma lo sviluppo del gioco nel suo complesso. Tutti subiamo la partita come coinvolgimento e come emozioni, ma i risultati di questa tensione sono i più disparati, dalle urla senza fine ai silenzi, toccarsi i capelli, girarsi, saltare oppure parlare con tranquillità dopo l’errore del secolo. Una cosa però dobbiamo sempre evitare, andare fuori di testa, perché quando una nostra atleta ha i 5 minuti noi la facciamo accomodare in panchina, ma se fuori di testa andiamo noi… allora la partita è finita. Il nostro primo obiettivo è far si che la squadra si esprima al massimo, solo capendo la gara possiamo riuscirci, per fare quello allontaniamoci dalla singola palla e cerchiamo di avere uno sguardo il più ampio possibile, altrimenti con lo sguardo del giocatore si avranno secondo me 2 problemi: l’impossibilità di una lettura generale dalla gara e un coinvolgimento emotivo che ci potrebbe costare la lucidità delle scelte.

lunedì 12 novembre 2007

Spostarsi e fermarsi.

Uno dei problemi più grossi in cui spesso mi imbatto quando inizio a lavorare con un nuovo gruppo è fare in modo che gli spostamenti di gioco, soprattutto di chi non è immediatamente coinvolto nell'azione in corso, avvengano nei momenti giusti. Noi allenatori prepariamo gli atleti ai loro compiti e gli indichiamo le zone del campo dove devono svolgerli, ma spesso trascuriamo di insegnargli come vanno gestiti i tempi tra un compito ed il successivo.
Ok, ok... mi sono spiegato malissimo. cerco di chiarire cosa intendo. A mio parere anche i tempi di spostamento in campo devono essere fortemente legati alla lettura di ciò che avviene nel mio campo o in quello avversario. Il concetto fondamentale è che bisognerebbe effettuare gli spostamenti durante le fasi di volo della palla, mentre nelle fasi di tocco si dovrebbe essere il più possibile stabili e pronti a reagire ad un nostro tocco anomalo o ad una azione avversaria imprevista.
Facciamo due esempi, uno in fase di ricezione e uno in fase break.

1) Sono un attaccante in prima linea non coinvolto nella ricezione della mia squadra. appena l'avversario serve mi sposto il più velocemente possibile nella zona del campo a me assegnata, ma nel momento in cui un mio compagno effettua la ricezione devo essere stabile, con una postura che mi consenta sia di prepararmi per l'attacco sia di intervenire rapidamente in caso di errori. Una volta che vedo la ricezione, mentre la palla è in volo verso il palleggiatore, inizio la mia rincorsa (1° o 2° tempo) o mi preparo a partire (3° tempo).

2) Abbiamo appena attaccato e l'avversario è riuscito a difendere. Esco dalla posizione assegnatami per la copertura e, mentre la palla è in volo e il loro alzatore è in procinto di palleggiare, mi muovo verso la mia posizione preventiva di divesa sul primo tempo. Un attimo prima che il loro palleggiatore tocchi il pallone sono "fermo" e pronto a reagire a ciò che loro faranno. Se l'alzatore avversario non attacca o non gioca il primo tempo, mi sposterò durante l'alzata verso la mia successiva zona di difesa, fermandomi un attimo prima del colpo dell'attaccante per prepararmi alla difesa.

In conclusione, credo che quando è possibile gli spostamenti nella pallavolo devono essere concentrati al massimo durante le fasi di volo della palla, mentre durante i tocchi si dovrebbe essere "fermi" o meglio in una postura stabile che consenta di intervenire anche in situazioni impreviste.

martedì 6 novembre 2007

Arbitro lei è un …!!!!

Ho ricevuto questa mail dall'amico Daco, che invita a riflettere:

"Domenica ho assistito per l’ennesima volta a un’aggressione verbale pesantissima all’arbitro. Allenatore, dirigenti, segnapunti e genitori tutti a dire frasi offensive. Contiamo che sto parlando di una partita under, con la posta in palio inferiore a una pizzetta. Una cosa così esagerata e maleducata che mi ha spinto a scrivere qui due parole. Non è la prima volta che mi capita di assistere a scene simili ma si spera sempre di vederne meno, invece è sempre la stessa storia! Sento spesso lamentarsi che non si riesce a tenere i giovani in palestra, ma scusate un attimo… per tenerle in palestra a sentire parolacce e insegnare dei “bei” comportamenti, lasciamole a casa o mandiamole in piazza! Ci si lamenta di televisione e di modelli da imitare sbagliati e poi… noi andiamo in giro nelle palestre e vediamo scene del genere! L’educazione che pretendiamo nelle nostre palestre, come comportamento, come uso di un linguaggio che non sia quello da “strada” e come capacità di prendere un impegno e portarlo a termine…. dove finisce? Gli arbitri sbagliano ma ci sono modi e modi per dimostrare il disappunto. Mi sono capitati casi di “arbitronemico” cronica, ogni volta che si perdeva una partita la colpa era dell’arbitro e questa cosa veniva trasmessa dai dirigenti alle ragazze con notevoli problemi di comportamento per ogni palla dubbia. Poi anche io mi sono lamentato dell’arbitro, ci mancherebbe, e sono stati casi in cui l’arbitro stava condizionando di proposito la gara, ma parlo di casi rarissimi. Il rispetto per l’arbitro è una cosa che va insegnata ai ragazzi, l’arbitro non è il nemico, non è quello che sbaglia per farci un dispetto, bisogna battere sul fatto che l’arbitro fa parte del gioco, che senza di lui non si gioca!!! Io mi diverto a dire a qualche giocatrice che si lamenta dell’arbitraggio dopo la gara… “quanti errori ha fatto lui? E quanti tu?”.
Daco"

Che dire... tutti ci arrabbiamo quando un errore arbitrale contribuisce a farci perdere un set o una partita, ma la soglia dell'educazione non va mai superata, soprattutto da chi deve essere un esempio per i giovani. Ma il vero problema è che tra gli arbitri la Fipav non può permettersi di fare selezione... con pesanti risultati sulla qualità degli arbitraggi.

mercoledì 31 ottobre 2007

Gardini nella Hall of Fame

Forse non tutti sanno che esiste, nel luogo dove nel 1895 è nato il volley, in Massachusetts (USA), una Hall of Fame dedicata ai più grandi personaggi del nostro sport.
Beh, Qualche giorno fa Andrea Gardini è stato inserito, primo italiano, in quella galleria di campioni, un altissimo riconoscimento che tutto lo sport italiano ha applaudito, come ha ribadito Dino Meneghin con queste bellissime parole:
"E' un riconoscimento universale che lascia senza fiato. E' come per un pittore vedere la sua opera esposta al Louvre. Gardini rappresenta un modo di essere un campione: un atleta che ha vinto tutto dimostrando classe e signorilità. Appartiene alla categoria dei campioni con la C maiuscola. Questo è un successo che porta lustro alla nostra pallavolo."
Come al solito la notizia è passata nel quasi completo disinteresse dei nostri media, troppo impegnati nelle gazzarre politiche, calcistiche e televisive per dedicare un minuto ad un grande sportivo che ha dato e continua a dare lustro alla nostra nazione.
Grazie Andrea... ce ne fossero di più come te.

martedì 16 ottobre 2007

Ancora sulla fase break.

Ritorno su questo argomento per approfondire un commento di Baldereschi (PS ciao Alberto, ci vediamo domenica) al mio post di settembre sulla fase break. Ha puntualizzato un aspetto a mio avviso molto importante, su cui concordo pienamente: distinguere la fase break in due azioni distinte, a seconda che l'avversario attacchi in maniera efficace oppure ci restituisca una palla facile.

Distinguere, almeno per come intendo io la parola, vuol dire praticamente dare disposizioni differenti ai propri per affrontare le due situazioni, allenando entrambe e chiarendo la differenza di comportamento tra le due. Io per esempio, ma credo che anche molti di voi facciano scelte simili, in caso di palla facile chiedo al palleggiatore di disinteressarsi della difesa e di piazzarsi subito in zona d'alzata, affidando ad altri giocatori, solitamente il posto 6 e/o il posto 2 a seconda che il palleggiatore sia in prima o in seconda, di occuparsi dell'appoggio difensivo al posto del palleggiatore.

Il problema principale nell'usare tattiche simili è che tutta la squadra deve avere lo stesso concetto di "palla facile", in modo da comportarsi tutti allo stesso modo ed evitare che alcuni giocatori "leggano" una certa situazione e altri no. L'allenamento alle diverse situazioni è fondamentale nel costruire questa forma di "affiatamento" che porti la squadra ad adattarsi come un unico organismo ai diversi problemi creati dall'attacco avversario.

Come in quasi tutte le forme di allenamento, è importante a mio parere che l'allenatore sovrintenda questo processo prima separando l'allenamento delle distinte situazioni , in modo che ciascuno abbia chiari i suoi compiti in un caso e nell'altro, per poi avvicinarsi alla realtà del gioco mescolando le due situazioni con esercizi sintetici e globali.

martedì 9 ottobre 2007

Gli errori sono tutti uguali?

Una cosa di cui non si parla tanto è l'impatto degli errori, nostri e dell'avversario, sull'andamento della gara e sul rendimento dei singoli giocatori. Eppure chi ha lavorato un pò con gli scout sà che con l'abbassarsi del livello tecnico cresce l'influenza degli errori sul punteggio; spesso anche in incontri di alto livello gli errori sono la causa principale dei punti.
Ragionandoci un pò su, direi che esistono almeno tre tipi di errori:
1) Errori "non procurati" dall'avversario: Sono gli errori la cui responsabilità è dovuta alla cattiva esecuzione tecnica di un'azione di gioco, senza che l'avversario abbia fatto nulla per metterci in difficoltà. Non sempre sono attribuibili ad un singolo giocatore. Un esempio può essere l'attacco in rete dopo una buona alzata, oppure un bagher di appoggio sbagliato, ecc.
2) Errori "indotti" dall'avversario: In questo caso sono gli avversari che, con il loro attacco, il loro muro o la loro battuta inducono all'errore la nostra squadra. Esempi? Un giocatore a muro che abbocca ad una finta, o anche un difensore ben piazzato che viene colpito da una schiacciata avversaria senza riuscire a controllare la difesa.
3) Errori "tattici". Sono tutti quegli errori dovuti alla cattiva esecuzione dei compiti tattici e di organizzazione di gioco. Non sempre hanno come conseguenza il punto per l'avversario, ma più spesso sono causa delle due categorie di errori precedentemente descritte. Un esempio può essere l'errato piazzamento difensivo o un incomprensione tra alzatore e attaccante.

L'abilità di un allenatore nella correzione degli errori sta spesso proprio in questo processo: Capire l'errore, individuarne la causa, scegliere le esercitazioni corrette per eliminarlo. Ovviamente non è facile, soprattutto se a ciò si aggiunge la diversa "sensibilità" all'errore tra gli atleti e gli allenatori. Ho notato, e qui mi piacerebbe sapere se è così anche per voi, che gli atleti considerano errori "importanti" solo quelli non procurati, i più evidenti e i primi che ho descritto. Gli altri due tipi di errore spesso non li considerano veri e propri errori, e il ricorso all'alibi è ancora più evidente (l'avversario ha schiacciato troppo forte, non mi sono messo là perchè..., eccetera).
Trovo sempre molta difficoltà nel far capire all'atleta che è un errore grave anche un piazzamento sbagliato, una disattenzione, il non controllare una palla che ci colpisce, e così via. Capita anche a voi?

Un ultima cosa, che probabilmente meriterà un prossimo post: Mi capita spesso di intervenire su atleti che, per paura di fare un certo errore, ne fanno di più gravi. L'esempio che mi viene in mente è il giocatore che pur di non rischiare di venire murato attacca su traiettorie improbabili schiacciando in rete o fuori. E' evidente che ciò avviene perchè nella sua sensibilità l'essere murati è più grave di schiacciare fuori o in rete (per me ovviamente è il contrario). Ma come dicevo di questo parlerò meglio in un prossimo post.

lunedì 1 ottobre 2007

Azzurre sul tetto d'europa, ma in Sardegna...

Grandi ragazze!!! Un cavalcata vincente (due soli set persi in otto gare, semifinale e finale chiuse con un secco 3-0) che ha dimostrato ancora una volta, se mai qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio, il valore di questo gruppo. Onore anche e soprattutto al grande "Massimone" Barbolini, che dopo aver vinto praticamente tutto con i club, ha dimostrato la sua grande capacità anche come selezionatore e organizzatore di una squadra nazionale. Il tentativo delle ragazze, utopistico vista la stazza del coach, di lanciarlo per aria durante i festeggiamenti indica quanto le ragazze hanno apprezzato il suo lavoro.

Unica nota stonata il fatto che in buona parte della Sardegna, a causa delle trasmissioni su RaiDue, hanno potuto seguire la cavalcata azzurra solo poche persone, visto che il digitale terrestre, nonostante i proclami dei diretti interessati, è ben lungi da essere una tecnologia diffusa e funzionale. Tra l'altro è di questi giorni la notizia che nel resto d'Italia l'oscuramento subito qua da noi sarà rinviato al 2012... Ma noi siamo cittadini di serie B o cosa? Per favore, o ci riattivate le trasmissioni analogiche, ammettendo il fallimento della "sperimentazione", o le togliete anche al resto dell'Italia.

Chiusa la triste parentesi sulle trasmissioni Rai, rimane il sogno regalartoci da questa fantastica squadra. Forza ragazze, Pechino 2008 è vicina, proprio davanti a voi!
GRANDISSIME!!!

mercoledì 26 settembre 2007

Prima giornata di serie C

Non so se ne siete tutti al corrente, ma quest'anno nella serie C sarda c'è una novità... la prima giornata si gioca tutti lo stesso giorno nello stesso posto. Per il femminile il 21 ottobre, domenica, alle palestre del CONI in via dello sport a Cagliari. Per il maschile il 4 novembre, ancora non si sà dove. La domanda fondamentale (vi risparmio gli altri commenti ma ve li potete immaginare) che tutti quelli con cui ho parlato si pongono è semplice: Perchè?

Nel comunicato alle società non vengono spiegati i motivi di questa decisione, che sicuramente crea problemi a tutte le squadre che avrebbero giocato in casa, e probabilmente anche ad alcune di quelle che comunque sarebbero dovute andare in trasferta. Gli orari sembrano poi pensati per un concentramento di minivolley, e non per la massima categoria regionale. Ci sono due squadre che devono iniziare il riscaldamento alle 8:30 del mattino e ben tre gare iniziano tra le 12 e le 14:30... sei squadre in campo all'ora di pranzo!
Molti dicono che sia per costringere i dirigenti ad andare alle riunioni organizzate, guarda caso, in concomitanza. Ma io non credo possibile che sia per un motivo cosi stupido. A parte che i dirigenti potrebbero comunque non partecipare, sopratutto se la propria squadra gioca in contemporanea... ma mi sembra impensabile che qualcuno abbia pensato di muovere 350 persone per far partecipare 25 dirigenti a due riunioni!
Insomma, non riesco a capire il perchè è stata fatta questa cosa... non riesco a trovare un motivo per aggiungere altri problemi alle società, visto che ne hanno già abbastanza. Per favore se qualcuno lo sà, me lo può spiegare? Grazie.

P.S. Un altra cosa che mi hanno fatto notare e che mi fà sorridere, è che quanto disposto dal CR viola apertamente il bando di indizione delle serie C, che recita testualmente all'art. 4: "Tutti gli incontri si giocheranno tra le 16:00 e le ore 20:00 del sabato.". Buffo, no?

lunedì 24 settembre 2007

L'allenamento della fase break

Vorrei dire due parole sulla fase break, cioè l'azione in cui una squadra si trova impegnata nei fondamentali di muro, difesa e nel successivo contrattacco. Questa fase presenta notoriamente molte più variabili rispetto al cambio palla, in quanto l'attacco avversario è sicuramente più vario rispetto al servizio in termini di traiettoria, velocità, tipo, ecc.; inoltre ogni squadra e ogni giocatore ha le sue caratteristiche peculiari, e tutto ciò rende molto difficile ricondurre la situazione di break a delle esercitazioni valide da proporre durante l'allenamento.

Su quanto ho appena detto siamo probabilmente tutti d'accordo. Il problema però rimane: come la alleniamo? Sicuramente alla base di tutto c'è il lavoro individuale, analitico e sintetico, sulla tecnica dei fondamentali coinvolti. Ma non basta. A mio parere la fase break è la fase in cui maggiormente si vede l'affiatamento tra i giocatori e la componente situazionale della pallavolo viene esaltata al massimo. Perciò penso che il lavoro globale si adatti molto bene ad allenare questa situazione. Certo, "lavoro globale" vuol dire tutto e niente. Diciamo che a me piace proporre delle esercitazioni a punteggio "zona contro zona", in cui si riducono le opzioni sia al palleggiatore (attacco solo da determinate zone del campo) sia agli attaccanti (attacco solo verso certe zone del campo). Tra l'altro questo tipo di esercitazioni consentono di lavorare anche con un numero ridotto di giocatori (8/10), cosa che purtroppo accade spesso nelle nostre categorie intermedie.

Una cosa che, invece, non mi convince molto sono le esercitazioni con un allenatore che attacca dalla panca dietro la rete. Le ho usate in passato e talvolta le trovo ancora utili per definire meglio le disposizioni muro-difesa, ma una volta chiari i compiti assegnati a ciascun atleta le ritengo troppo "standardizzate" e lontane dalle situazioni reali. Beninteso, non dico che non siano utili, ma credo che una situazione difensiva deve prevedere un attacco reale dall'altro lato. Secondo me la panca va bene per chiarire una situazione di gioco, non per allenarla una volta acquisita.

Una cosa poi che bisogna ricordare è che, a medi livelli ed in particolare nel femminile, si giocano normalmente molte più fasi break che cambio palla. Da delle semplici statistiche che mi ero fatto un paio di anni or sono su diverse partite di C femminile, era venuto fuori che in gara la mia squadra giocava mediamente dalle tre alle cinque fasi break per ogni fase di cambio palla. Non dico con questo che bisogna allenare il break quattro volte di più (in termini di tempo) rispetto al cambio, ma sicuramente bisogna dargli l'attenzione che merita, in particolare dopo l'introduzione dell'RPS.

E voi? come preferite allenare questa fase?

lunedì 17 settembre 2007

Anastasi, Berruto & C.

Sono terminati gli europei maschili. "No comment" su quanto fatto dall'Italia che paga, a mio parere, il sonno sugli allori su cui ci siamo cullati gli anni passati, quando si vinceva (quasi) tutto. C'è però una parte della pallavolo italiana che è uscita vincitrice da questi europei: parlo degli allenatori. I coach italiani stanno dimostrando che non sono loro la parte del sistema che non funziona. L'Europa sta riconoscendo la loro preparazione, affidandogli squadre valide che grazie a loro arrivano all'eccellenza.

Vedere la semifinale tra Spagna e Finlandia, con Anastasi e Berruto che si sfidavano dalle panchine, e poi lo stesso Anastasi vincere gli europei alzando il trofeo, mi ha sotto sotto fatto piacere quasi quanto veder trionfare la nostra nazionale.
Onore al merito quindi a questi grandi professionisti, tra cui non posso non ricordare anche Caprara e Guidetti, alla guida rispettivamente delle Nazionali femminili in Russia e Germania, che scelgono di lasciare il loro paese perchè, evidentemente, all'estero trovano stimoli, possibilità e condizioni economiche più favorevoli. Vorrei ringraziarli tutti, anche chi non ha raggiunto gli onori (?) della cronaca italiana.

Rimane un dubbio: visto che la preparazione e l'abilità degli allenatori italiani è riconosciuta in tutta l'europa (e i risultati che ottengono dimostrano che è più che meritata) che cos'è che non funziona? Continuiamo a dare le colpe alla scarsità degli atleti, in numero e/o qualità? La Finlandia quanti tesserati ha? credo circa 12.000. E allora, dove sta il problema? La risposta a queste domande è a mio parere semplice, ma ognuno credo debba ragionarci un pò da sè.

lunedì 3 settembre 2007

Allenatori e/o dirigenti?

Oggi ritorno in palestra. Nuova società, nuovi atleti, nuovo ambiente. Penso che sia un bene per un tecnico cambiare società ogni tanto; permette di avere nuovi stimoli, di rimettersi alla prova, di affrontare problemi diversi e di tenere il cervello un pò più acceso. In effetti, secondo me, un allenatore dovrebbe sempre sentirsi un pò sotto esame. Quando una società affida un incarico ad un allenatore chiamandolo a lavorare con sè, sicuramente questa non dovrebbe interferire sulle scelte tecniche ma può, e deve, chiedere conto dei risultati del lavoro svolto.

Spesso invece, quando un allenatore rimane molti anni nel medesimo ambiente, egli diventa quasi senza accorgersene una specie di dirigente. Questa situazione a prima vista potrebbe sembrare persino positiva, in quanto porta l'allenatore ad avere più voce in capitolo nelle scelte relative all'organizzazione societaria. Però il rischio è che il tecnico, dovendo rispondere soltanto ai propri atleti del lavoro che svolge, si adagi sugli allori e riduca la qualità del proprio lavoro, non mettendosi più in discussione. Ovviamente gli atleti inizieranno a lamentarsi ma, essendo l'allenatore ormai parte integrante della società, è molto difficile che i dirigenti gli chiedano spiegazioni.

Certo, non bisogna fare di tutta l'erba un fascio. Conosco diversi allenatori che pur rimanendo nella stessa società molti anni hanno continuato a lavorare con lo stesso entusiasmo e la stessa lena della prima stagione. Ma purtroppo vedo anche degli esempi contrari, e non sono pochi. Cambiare è importante. Probabilmente anche per le società ma, principalmente, per noi allenatori.

In ogni caso auguro a tutti coloro (allenatori e non) che in questi giorni stanno ricominciando, come me, a lavorare in palestra per una nuova stagione, un grande in bocca al lupo per quest'anno che sta iniziando. Ciao e buon lavoro.

mercoledì 29 agosto 2007

Ricominciamo... con la "preparazione"

Dopo un pò di (meritate!) vacanze, si ritorna (finalmente?) in palestra.
E subito quindi si ricomincia a parlare di quella fase del lavoro, ormai quasi mitizzata dagli atleti come periodo durissimo di sofferenza e passione, della "preparazione".

Un tempo si definiva preparazione "atletica", memoria di settimane trascorse senza toccare un pallone ma facendo cose spesso più adatte ad un film di Stallone che a un campo di pallavolo. Oggi si sentono termini più coloriti e fantasiosi, tipo "riattivazione motoria" o "risveglio funzionale"... boh, chiamatela come volete. alla fine si tratta sempre dello stesso problema per gli allenatori: Prendere un gruppo di atleti che negli ultimi mesi hanno svolto attività diverse e trasformarli in una squadra che giochi a qualcosa che assomigli il più possibile alla pallavolo, e per almeno 5 set!

Nel maschile è, solitamente, più semplice, almeno dal punto di vista "atletico". I maschi tendono a essere generalmente più "attivi" durante la pausa estiva, quasi tutti giocano a calcetto, beach volley, racchettoni... tra le donne invece la percentuale di chi trascorre l'estate attivamente è di solito più bassa. Se siamo fortunati circa la metà delle nostre atlete si sono mosse in qualche modo durante l'estate, le altre si sono sdraiate ad abbronzarsi al sole a giugno e si sono rialzate a settembre. Sigh.

In ogni caso, probabilmente a causa dei cambiamenti nei modelli di prestazione (a seguito del rally point system) e dell'allungarsi delle durate dei campionati, che ha spesso ridotto il periodo di preparazione a poche settimane, la tendenza che mi pare di cogliere parlando con gli allenatori è quella di lavorare sulla tecnica e sulla tattica, anche di squadra, già dai primi giorni di lavoro e parallelamente al lavoro fisico. La cosa importante è programmare bene il lavoro, soprattutto quando si ha a disposizione poco tempo.

Purtroppo scrivere con attenzione i propri programmi di lavoro, che siano annuali, mensili, settimanali o per i singoli allenamenti, è un attività che vedo ancora troppo spesso trascurata, almeno da noi in Sardegna. Non mi stancherò mai di insistere sul fatto che il lavoro fatto casa è importante quanto, se non di più, del lavoro in palestra. Ma su questo argomento ritornerò di sicuro a breve. Nel frattempo, auguro a tutti una buona annata sportiva. In bocca al lupo e a presto.

lunedì 30 luglio 2007

Il Beach Volley del 2000

Tempo d’estate, tempo di beach volley, e, come tutti gli anni, anche sulle spiagge o sulle piazze sarde impazzano tornei più o meno amatoriali che vedono protagonisti i pallavolisti da spiaggia. Rigorosamente sotto l’ombrellone e “spiaggina” munito non ho potuto esimermi l’altro giorno dall’assistere a qualche match di un torneo organizzato nella mia abituale spiaggia del fine settimana. Certo, le nuove regole hanno modificato, e non di poco, il gioco, rispetto ai tempi pionieristici in cui alla fine degli anni 80 ci cimentavamo sulla spiaggia del Poetto di Cagliari con reti improvvisate tenute da pali improbabili frutto del lavoro di estirpazione dal vicino canneto delle saline.
Anzitutto le dimensioni del campo, che i più bene informati sapranno, è stato rimpicciolito, passando dai canonici 9 x 9 dell’indoor alla nuova configurazione 8 x 8 che avrebbe garantito, secondo l’FIVB, maggiore facilità di copertura del campo, una difesa più agevole, e quindi una generale incentivazione dello spettacolo dato l’incremento di durata delle azioni.
Ebbene io sono totalmente contrario a questa modifica e qui vi illustro brevemente il motivo :
Il beach volley è sempre stato un sport abbastanza ostico da intraprendere, perché oltre alla padronanza dei principali fondamentali del pallavolista sono necessarie anche buone doti fisico-atletiche per poter vincere la resistenza della sabbia a spostamenti e salti. Rimpicciolire il campo significa in automatico spazzare via qualunque velleità di competitività per “esseri umani” che non siano alti 2 m o che non abbiano 1 m di elevazione sulla sabbia, dato che ormai è diventato sempre più difficile se non impossibile fare punto con gli ”shots” o con i “cross”. Il risultato è un gioco fatto di azioni con l’esasperazione della palla attaccata per poter giocare sempre colpi a chiudere evitando di incappare in muri sempre più granitici. Morale, è diventato l’esaltazione dell’aspetto fisico a scapito della intelligenza tattica e della visione di gioco. Non so cosa ne pensiate voi, ma io, in barba all’FIVB, trovavo ampiamente spettacolare vedere il mio amico Fabrizio (alto 165 cm) farsi come un gatto 12 metri di campo per recuperare in tuffo una “palletta” sulla diagonale e beffare l’avversario con un cross di contrattacco che moriva imprendibile all’incrocio delle righe.
Inoltre, coprire un campo 9 x 9 in 2 era impossibile, per cui era indispensabile fare delle valutazioni ed impostare delle tattiche di gioco che ora appaiono sempre meno determinanti.
Infine un accenno anche alla modifica del sistema di punteggio con l’introduzione del RPS anche nel beach volley al posto del cambio – palla. Sicuramente una soluzione del genere ha giovato agli organizzatori dei tornei visto che si riducono notevolmente i tempi di impegno dei campi, però viene sminuita un’altra nota di fascino di questo sport, quella che Kiraly chiamava la “lotta di nervi sul cambio palla”, ovvero la predisposizione mentale e fisica, che contraddistingue i grandi giocatori, nel rimanere sempre concentrati sul proprio cambio palla, aspettando l’errore avversario, partendo dal presupposto secondo cui ogni palla che si riesce a difendere e contrattaccare è sempre un errore del cambio palla avversario. Credo che, con queste nuove regole, inibendo così drasticamente il numero di possibili praticanti non si stia facendo un grande favore a questo sport, che è già di per se difficile da praticare e sicuramente più divertente da giocare che da vedere. Speriamo che l’FIVB se ne avveda prima che la concorrenza di altri sport da spiaggia meno discriminanti e ugualmente spettacolari, se non di più, come il beach soccer o il beach tennis, non diventi insormontabile.

mercoledì 25 luglio 2007

Motivazione e volitività

Ho ripreso i programmi di alcuni allenamenti sulla difesa fatti diversi anni fa. In uno avevo scritto, cerchiato e sottolineato più volte una frase: "serve + volitività". Mi sono ricordato di quell'allenamento: Ero molto inc...ato perchè, nonostante una buona tecnica individuale, alcune mie atlete "rinunciavano" a certi palloni in difesa. Credo che sia una cosa che capita a tutti... ma come agire per evitarlo?

Mi sono andato a guardare gli allenamenti dei mesi successivi e dagli appunti ho visto che avevo deciso di lavorare, inserendo delle modifiche nella "gestione" e nella disciplina degli esercizi più che negli esercizi stessi, su alcuni aspetti "mentali" i quali, ripensandoci adesso, credo siano importanti anche per altri fondamentali, non solo per la difesa. Le cose su cui avevo deciso di lavorare erano:

1) Provare sempre su tutti i palloni: avevo posto la regola che ogni volta che una palla cadeva (durante TUTTI gli esercizi in cui era prevista una difesa, da quelli sintetici a quelli globali) e il difensore mi sembrava avesse rinunciato a provarci, quella palla doveva essere immediatamente seguita da due-tre palloni più difficili del precedente. Avevo iniziato a girare sempre con due palloni sotto le braccia proprio per essere rapido e non fare pause troppo lunghe.
2) Aspettarsi sempre la palla. Ho eliminato il maggior numero di esercizi possibile in cui gli attaccanti avevano una scelta obbligata.
3) Non accontentarsi mai. Ho cercato di inserire, nelle esercitazioni in cui era possibile, un sistema di riferimento e di punteggio (talvolta premiante) per la precisione del difensore, in modo che non si accontentasse solo di non farla cadere (anche sugli attacchi più difficili), ma cercasse sempre di indirizzare il pallone in alto e all'interno del campo.
4) Non tollerare l'errore. Ho usato sistemi di punteggio, in particolare durante le fasi globali, che portassero al sanzionamento della palla toccata ma non difesa.

Il lavoro era ovviamente corredato dagli opportuni incitamenti e "stimoli" verbali, però in tutte le situazioni ho preferito evitare di inserire sistemi punitivi, non perchè non sia d'accordo sul loro uso in certi casi (che comunque ritengo debba essere ridotto al minimo indispensabile) ma perchè in quel particolare contesto non credo che fossero "produttivi".

Se ho ottenuto dei risultati? Io credo di sì, l'efficienza della difesa è generalmente aumentata, qualche giocatrice ha iniziato a "rinunciare" un pò meno... se poi ciò è dovuto al lavoro specifico o al solo fatto che ho aumentato il tempo dedicato alle esercitazioni orientate principalmente alla difesa... beh, questo non lo saprò mai.

giovedì 19 luglio 2007

La rincorsa di zona 2 nel femminile

Allenando nel femminile da tanti anni, una delle cose che vedo variare di più tra le diverse squadre sono le traiettorie di rincorsa, in particolare quando si attacca da zona due. Ogni giocatrice ha la sua traiettoria preferita, più o meno angolata, dall'interno o dall'esterno del campo. Mi sembra che nel maschile le traiettorie siano più standardizzate, raramente si vede un opposto rincorrere partendo da dentro il campo. Così mi sono posto qualche interrogativo sul perchè c'è tanta varietà di rincorse nel femminile di medio-basso livello, e di conseguenza quali sono i pro e i contro delle varie tecniche.

Piazzamento del muro avversario a parte, in teoria se si và a colpire una alzata alta, con palla che scende quindi quasi verticale, la direzione di rincorsa più generale dovrebbe essere quella che consente all'attaccante di indirizzare il pallone con facilità in tutte le direzioni. Cioè una rincorsa leggermente dall'esterno del campo verso il palleggiatore, che consenta di indirizzare il pallone sia in diagonale stretta che in lungolinea con un semplice movimento di intra o extra rotazione della spalla.

Il discorso cambia ovviamente quando l'alzatore abbassa la parabola del pallone, aumentando così la componente orizzontale della traiettoria a discapito di quella verticale. In pratica quando l'alzata diviene più "tesa". In questo caso l'angolo fra la traiettoria della rincorsa e quella dell'alzata deve aumentare, l'attaccante deve cioè cercare di andare "incontro" alla palla che arriva. Questo perchè il punto di impatto con la palla sulla linea della rete non è facilmente determinabile all'inizio della rincorsa, in quanto varia anche sull'orizzontale. Inoltre una rincorsa molto angolata consente di mantenere il pallone in arrivo dall'alzatore nel campo visivo dell'attaccante.
Un altra discriminante è sicuramente la mano con cui l'attaccante colpisce il pallone. Un giocatore mancino ha maggiore facilità nel eseguire la rincorsa in zona due con angoli maggiori rispetto a un destro. Naturalmente il discorso si inverte in zona quattro.

In base a queste considerazioni, non riesco comunque a spiegarmi come mai si continuano a vedere giocatrici di medio-basso livello rincorrere da zona due partendo, su secondi e terzi tempi d'alzata, dall'interno del campo. A mio parere non ci sono motivi tecnici che giustificano questa scelta. L'unica spiegazione che riesco a darmi è che, essendo l'attacco da posto due molto trascurato rispetto al settore maschile, molte giocatrici a cui non è stata specificatamente insegnata una rincorsa diversa per la zona due hanno "riadattato" la rincorsa che usavano in zona quattro, cosa che però, al crescere del livello e con l'abbassarsi delle traiettorie d'alzata, può a mio parere creargli non poche difficoltà.

martedì 10 luglio 2007

Esercizi su internet

Sicuramente chi legge questo blog conosce internet, e quindi probabilmente ha già visto e usato qualcuno dei servizi di condivisione gratuita dei video, Per intenderci siti come YouTube, Google Video, Yahoo! Video, eccetera.

Quello che volevo far notare è la quantità di materiale utile a noi allenatori che sta iniziando a circolare su questi siti. Da quando le telecamere hanno iniziato ad avere un prezzo accessibile io ho sempre cercato di usare il video per osservare meglio i movimenti dei miei atleti, non solo in gara. Ora però molti allenatori stanno iniziando a mettere i video ripresi durante gli allenamenti in cui si possono vedere le esercitazioni proposte. Tanto per intenderci vi posto alcuni link per mostrarvi un esempio di quello che si può trovare:

http://it.youtube.com/watch?v=kxXN9a9NWts
http://it.youtube.com/watch?v=UNZpv_W3ci8
http://it.youtube.com/watch?v=W__NBLgk2yI
http://it.youtube.com/watch?v=lFwltz8xAgE

Osservare gli esercizi che usano gli altri, anche se spesso possono sembrare simili o identici a quelli che usiamo abitualmente, è fondamentale per interrogarci sui motivi per cui quell'allenatore propone quell'esercitazione o richiede che un certo movimento sia eseguito in una determinata maniera. Possiamo essere d'accordo o no con quello che vediamo, ma si notano tanti particolari che potrebbero aiutarci a migliorare anche le nostre esercitazioni.

Quando ho iniziato a far l'allenatore, nell'ormai lontano 1983 (sigh... che vecchio), era un sogno impossibile pensare di assistere all'allenamento di una squadra di college statunitense o di una serie A polacca. Oggi internet ci mette a disposizione, gratis, questa possibilità... e se vogliamo, come ho fatto io in un caso, si può anche scrivere all'autore del video per chiedergli qualche chiarimento... Sarebbe da pazzi non sfruttare queste incredibili possibilità, non trovate?

domenica 8 luglio 2007

Allenare i "riflessi"?

Vagando tra i forum ed i blog di volley che leggo saltuariamente, mi sono imbattuto in una domanda, postata probabilmente da un giocatore che ha il ruolo di libero, che mi ha interessato molto: E' possibile allenare i riflessi? Mamma mia, ho pensato, bella domanda... così ci ho ragionato un pò su, tanto per cercare di chiarirmi le idee e provare ad arrivare ad una risposta plausibile. Vi riporto il risultato di questo "brainstorming":

Per iniziare, a mio parere, quando genericamente parliamo di "riflessi" probabilmente intendiamo un insieme di almeno quattro attività, consecutive ma distinte, che il nostro organismo compie dal momento in cui avviene l'evento al quale dobbiamo reagire fino a quando iniziamo a muoverci, e cioè:
1) osservazione e valutazione dell'evento
2) scelta della corretta risposta motoria;
3) trasmissione dell'impulso nervoso dal cervello al sistema motorio (muscoli);
4) attivazione delle fibre muscolari interessate e conseguente inizio del movimento.
Il problema è come intervenire per migliorare la rapidità e l'efficenza di questo processo.

Iniziamo dalla fase 1: credo che per migliorarla si deve lavorare sull'attenzione e la concentrazione. L'atleta deve allenarsi a riconoscere e concentrare l'attenzione sui particolari che possono influire sull'azione, cercando di escludere tutto il resto. Inoltre è importantente aumentare al massimo la volitività, creare in pratica una forma mentale che sia "aggressiva" verso il pallone.

La fase 2 è a mio parere la fase più importante, su cui tutti gli allenatori dovrebbero lavorare molto, in particolare coi giovani. Troppo spesso infatti l'errore viene fuori non tanto da una lentezza nell'intervento, ma a causa di una scelta errata della tecnica da usare. Noi allenatori ci preoccupiamo giustamente di far acquisire ai nostri atleti le diverse tecniche, ma trascuriamo spesso di insegnare a scegliere tra queste tecniche, delegando al tempo e all'esperienza dell'atleta la scelta tra le diverse opzioni del suo bagaglio tecnico.

La fase 3 è forse quella meno allenabile in modo specifico, anche perchè tutto avviene in tempi nell'ordine dei millisecondi, perciò un miglioramento in questa fase non credo consentirebbe miglioramenti sostanziali sull'azione complessiva.

La fase 4 è la parte "muscolare" della reazione, perciò è allenabile lavorando sulla capacità dei muscoli a contrarsi rapidamente... ci sono intere bibliografie sull'argomento, perciò non vi tedio discutendo di reattività e forza "esplosiva".

Per concludere, credo che se lavoriamo bene sulle fasi 1,2 e 4, la somma dei miglioramenti porterà ad un incremento sostanziale della velocità di reazione ed intervento... insomma, diciamo dei "riflessi". Se poi qualcuno di voi ha proposte di attività o altre esperienze in merito fatemele sapere, perchè l'argomento mi interessa molto.

lunedì 2 luglio 2007

World League 2007... chi l'ha vista???

L’anno scorso, mi pare in occasione del Mondiale a Mosca, lessi una dichiarazione del Presidente Magri il quale nell’ottica di migliorare l’effetto divulgativo del mezzo televisivo sulla pallavolo ed in particolare sulla Nazionale, avrebbe bandito dall’anno successivo (2007) la TV a pagamento per una trasmissione “in chiaro” su RAI – SPORT delle partite della squadra di Montali.
Probabilmente, pensai, l’ottimo presidente FIPAV non avrà avuto ben presente il trattamento riservato fino ad allora al campionato italiano femminile dai dirigenti della TV di Stato.
Risultato: la partecipazione della Nazionale Italiana alla WL 2007 è diventata degna protagonista del fortunato programma RAI del lunedì sera: CHI L’HA VISTO???!!???
Le trasmissioni in diretta una rarità, la messa in onda di partite e repliche ad orari improponibili, alcuni incontri nemmeno mai trasmessi.
Per vedere i match con la Francia ad esempio (una delle poche occasioni dove peraltro l’Italia ha fatto vedere una discreta pallavolo) ho dovuto ingegnarmi per mettere mano al decoder (della TV a pagamento), e sintonizzare tale canale SPORT – PLANETA per accedere ad una telecronaca in russo (!?!?!?).Finalmente quest’ultimo fino settimana sulla RAI hanno trasmesso in diretta le partite dell’Italia contro gli USA, ed allora ho finalmente capito il vero motivo della scelta di Magri: il lungimirante presidente vendendo i diritti di trasmissione alla TV di Stato ha cercato di limitare i danni, perché aveva intuito fin da subito, vista la magra figura fatta nella WL 2006 e ai mondiali, che anche nella WL 2007 l’Italia sarebbe stata INGUARDABILE!!!!!

giovedì 28 giugno 2007

Due promozioni in B2 femminile!

Un piccolo post per rilanciare la fantastica notizia apparsa oggi sul sito della FIPAV regionale sarda: L'anno prossimo la Sardegna avrà 2 promozioni dirette dalla serie C alla B2 femminile! Del maschile non si parla, ma mi auguro che a breve ci siano buone notizie anche per quel settore. Complimenti alla Federazione Sarda e a tutti coloro che si sono adoperati per ottenere questo successo. E pensare che appena due mesi fà ci era stato comunicata dal presidente regionale una notizia diametralmente opposta. Adesso noi tutti dobbiamo darci da fare per dimostrare di meritarci questo risultato.

mercoledì 27 giugno 2007

Ancora sulla "fast"...

Ho ricevuto una e-mail da un collega allenatore che mi chiedeva, tra le altre cose, come mai la fast non viene usata nel maschile. Gli rispondo pubblicamente così ne approfitto anche per aggiungere due parole sulla tattica della fast, di cui non ho parlato nel post che ho scritto qualche tempo fa.

Intanto, è giusto ricordare che non è proprio vero che nel maschile non esiste il primo tempo "dietro" con stacco a un piede. Ho visto personalmente sul satellite in TV un giocatore, mi pare fosse nel campionato francese, usarlo con regolarità ed efficacia. Però è vero anche che è rarissimo osservare questo tipo di attacco tra i maschi, e ciò secondo me è dovuto principalmente ad un paio di motivi molto precisi:

1) Il muro nel femminile è mediamente meno invadente e meno veloce negli spostamenti. Inoltre il muro maschile riesce, anche dopo aver eseguito il salto, a coprire efficacemente un zona di rete più ampia col l’adattamento della posizione delle braccia. Questo limita molto uno dei vantaggi della fast rispetto al primo tempo tradizionale, e cioè il poter colpire la palla discrezionalmente in un tratto di rete molto ampio, evitando così muro.

2) Nel maschile l’uso dell’attaccante di posto 1 dalla seconda linea è più efficace che nel femminile, quindi molto più sfruttato. Portare l’attacco degli attaccanti centrali verso la zona 2 con l’alzatore in prima linea (ricordo che la fast viene usata quasi sempre in queste rotazioni) implica un vantaggio per il muro avversario in termini di pre-piazzamento sull’attacco proveniente da zona 1/2.

Sono sicuro che diversi allenatori del settore maschile hanno sperimentato a vari livelli l’uso della fast, ma evidentemente i risultati in termini di efficacia non sono stati soddisfacenti, o per lo meno non è stata riscontrata l’efficacia espressa da altre combinazioni d’attacco. Sarebbe interessante conoscere i risultati di questi test.

martedì 19 giugno 2007

La specializzazione nei settori giovanili.

Domenica ho avuto l'occasione di sentir parlare Velasco. Bella chiaccherata, ha toccato molti argomenti e dato spunti interessanti, come solo un uomo di grande esperienza come lui sa fare. Uno di questi spunti ha riguardato un problema molto dibattuto negli ultimi anni: Cosa insegnare nei settori giovanili? insegnamo un pò di tutto, dedicando però poco tempo ad ogni gesto, oppure ci concentriamo solo su alcune azioni, cercando di insegnargli poche cose, ma bene?

Ovviamente Velasco ci ha spiegato la sua opinione, che volutamente non voglio riferirvi anche se la condivido, perchè il carisma del personaggio forse porterebbe a sposare il suo pensiero senza ragionarci un pò su. Il fatto è che quando alleniamo un settore giovanile, normalmente non abbiamo molto tempo a disposizione in palestra. Spesso è già tanto se abbiamo a disposizione 3 allenamenti da 90 minuti. Certo, possiamo far lavorare alcuni atleti anche con altri gruppi, ma pur essendo molto utile questo sistema spesso non ci consente di programmare in quel tempo un lavoro organico col resto degli allenamenti. Inoltre quasi mai è possibile farlo per tutti i ragazzi.

Perciò siamo costretti a fare delle scelte. Bella scoperta, ne facciamo continuamente direte voi. Ovviamente non si discute che a tutti i ragazzi si debbano insegnare i tocchi di base (palleggio, bagher, ecc.), ma per quanto riguarda determinate azioni "specializzabili", tipo ricezione, alzata, ecc. come ci comportiamo? Le scelte sono almeno due, con relativi vantaggi e svantaggi. Facciamo l'esempio dell'alzata:

1) Dedichiamo lo stesso tempo a tutti gli atleti. Facciamo cioè in modo che tutti i ragazzi si allenino e giochino a turno ad alzare al compagno, con gli stessi intervalli, anche in gara. In questo modo sposto la specializzazione dell'alzatore in tempi successivi, permettendo a tutti di provare le sensazioni e le difficoltà nell'alzare la palla. Nel contempo però la qualità del mio gioco sarà molto bassa, le alzate saranno mediamente molto fallose ed imprecise e di conseguenza sarà per tutti più difficile eseguire i colpi successivi (schiacciata e difesa).I tanti errori rischiano di non dare continuità al gioco, con il probabile effetto di ridurre il divertimento.

2) Facciamo alzare di più a chi ci sembra più dotato, differenziando il lavoro sia in allenamento che in gara. In questa maniera riusciamo a lavorare maggiormente sulle doti naturali di ciascuno e miglioriamo la qualità delle alzate e del nostro gioco, con maggiore soddisfazione dei ragazzi. Nel contempo però limitiamo la possibilità ad alcuni di provare ad alzare, rinviando a tempi successivi l'insegnamento dell'alzata se si vedrà la possibilità di farli giocare come alzatori.

Stesso discorso si può fare per la ricezione e per altre azioni del volley. Credo che con entrambi i metodi si possano ottenere dei risultati, ma quello che probabilmente abbiamo sempre trascurato è l'impatto che questa nostra scelta, allenare un poco di tutto o poche cose ma bene, avrà nella testa dei ragazzi e nella loro percezione della pallavolo.

lunedì 11 giugno 2007

Alcune differenze tra A1 e B2

Mi è ricapitato tra le mani uno studio del 2004 sul maschile fatto da Caramagno, Franzò e Prefetto di cui avevamo discusso in un corso ad Alberobello l'anno scorso. E' un interessante analisi del modello di prestazione per la serie B2, con diversi paragoni alla serie A1. Voglio darvi alcuni dati che scaturiscono da questo studio perchè li trovo utili per capire come cambiano i modelli di prestazione al variare la categoria.

Un primo dato che salta agli occhi è la durata media delle fasi attive (palla in gioco) e passive. In serie A1 infatti la fase attiva dura in media 5,2", la fase passiva 13,8". E in B2? la fase attiva 7,2" (+38%) e la passiva 17,1" (+24%). Ciò comporta una durata media del set pari al 28,5% in più (18,5' in B2, 14,4' in A1).

La domanda è: questi dati influiscono sui metodi e i tempi dell'allenamento? A mio parere si, ma in che misura credo che sia una variabile soggettiva per ciascun allenatore. In ogni caso è evidente che al calare del livello aumenta l'impegno del metabolismo aerobico "intermittente".

Un altro dato che si evidenzia è il numero di salti medi per ruolo. in B2, con una media di 218 azioni per gara, il giocatore che salta di più è il centrale, che fà 112 salti (0,52 per azione), contro i 90 dell'alzatore, i 76 dell'opposto e i 70 del posto 4. Bella scoperta, direte voi, lo sanno anche i bambini che il centrale è quello che salta di più!
E invece non è così ovvio. Sapete chi è che salta di più in A1? Vi sembrerà strano (però se ci pensate bene, neanche più di tanto), ma è il palleggiatore, con 136 salti su 221 azioni di gioco (0,64 salti per azione!), segue il centrale con 97 salti, poi l'opposto con 88 e infine lo schiacciatore "di mano" con 65.

Se devo dare un mio parere su questi dati, mi viene da dire che il palleggiatore, che salta moltissimo anche in B2 (più degli schiacciatori), spesso non viene allenato abbastanza su questo aspetto. Vi siete mai chiesti, durante l'allenamento, quanto alleniamo il palleggiatore al salto? più o meno degli schiacciatori?

Ho volutamente semplificato il ragionamento, limitandomi al salto, ma se teniamo conto delle penetrazioni continue e degli spostamenti a cui è obbligato un palleggiatore, mi viene logico pensare che sia il ruolo che ha bisogno di un maggior lavoro aerobico (intermittente) rispetto agli altri. Lo sò che i sacri testi dicono che la pallavolo è uno sport prevalentemente anaerobico... però forse diamo troppe cose per scontate.

lunedì 4 giugno 2007

Allenatore e Palleggiatore

Una delle cose che mi incuriosisce di più quando assisto da spettatore ad una partita di pallavolo, è soffermarmi sul rapporto Palleggiatore – Allenatore durante le fasi di gioco, e questo indipendentemente dal fatto che si tratti di match di alto livello (alla TV per intenderci) o di campionato giovanile o di divisione. Se ci pensiamo in effetti si tratta di un confronto tra due condottieri, uno che guida durante tutta la settimana e fino ad un istante prima del fischio d’inizio, un altro che conduce le danze per tutta la durata della partita. I più superficiali potrebbero liquidare banalmente l’argomento dicendo che il palleggiatore deve semplicemente riportare in campo le tattiche preparate in campo con l’allenatore e provate e riprovate tutta la settimana, e che l’allenatore deve lavorare “preventivamente” per dipanare tutti i dubbi e per far si che all’ingresso in campo il palleggiatore abbia sempre le idee chiarissime su cosa debba fare in ogni situazione (pensiamo alla serie A dove si effettuano una o due riunioni video alla settimana e dove a tavolino viene valutata analiticamente l’efficienza della propria squadra in ogni rotazione in funzione del tipo di attacco e del muro avversario); poi invece inizia la partita e ci si accorge che quasi mai è tutto così lineare e preventivabile e che quindi non per tutte le situazioni contingenti era stata studiata la adeguata “contromisura”.
A questo punto è interessante osservare come nelle varie squadre viene affrontata la situazione e soprattutto chi si assume l’onere di decidere cosa fare: ci sono allenatori che decidono di non intervenire sul gioco della propria squadra e lasciano al palleggiatore le scelte sul tipo di palla e sull’attaccante da servire (atteggiamento passivo); altri invece che durante i time-out danno delle indicazioni di massima su quello che sta succedendo in genere in funzione degli avversari (con frasi tipo: “quel centrale avversario è lento negli spostamenti” oppure “quel laterale è scarso a muro”) e quindi indirettamente condizionano il palleggiatore nelle scelte (atteggiamento indirettamente attivo), oppure ancora ci sono allenatori che sistematicamente intervengono dando indicazioni precise sul tipo di gioco da fare (atteggiamento attivo).
E’ innegabile che questi diversi metodi di comportamento siano funzione inoltre sia del tipo di squadra che si trova a gestire (presumibilmente l’atteggiamento passivo sarà più probabile in gruppi seniores con palleggiatori esperti, mentre quello attivo sarà tipico delle squadre giovani con giocatori inesperti) sia della situazione di punteggio durante la partita (è più probabile un coinvolgimento diretto dell’allenatore sul gioco da fare dal 20 in poi, piuttosto che ad inizio set).
Io penso che per avere i risultati migliori ogni allenatore debba riuscire nel non semplice compito di modulare i vari atteggiamenti in funzione alle diverse situazione di punteggio e del tipo di gruppo che si segue, senza eccedere in un senso o nell’altro perché nel caso di atteggiamento sistematicamente passivo non si creano i presupposti per una crescita del palleggiatore che si attua mediante rinforzi costruttivi sulle scelte effettuate, nel caso opposto invece, scaricandolo sempre sulla responsabilità della scelta, non lo si abitua al ragionamento critico durante la gara. E voi, che tipo di atteggiamento preferite durante la gara con il vostro alzatore??

mercoledì 30 maggio 2007

Sullo "stacco" nelle giovanili femminili.

Domenica a Cabras, durante un'interessante lezione di Marco Mencarelli, si è parlato, tra l'altro, di tempi di contatto del piede, forza e reattività nel salto. Un concetto che ha espresso mi ha colpito molto, anche perchè ho riscontrato spesso in palestra situazioni simili. Vorrei esporlo, così mi dite cosa ne pensate.

Si parlava della fascia U14 femminile (12-14 anni) e il nostro relatore ci ha fatto notare che a quell'età, in particolare nelle ragazze, la forza è praticamente pari a zero. Perciò se noi chiediamo ad una atleta di saltare al massimo lei tenderà ad usare l'unico "mezzo" che possiede per ottenere il risultato, e cioè la reattività del sistema caviglia-piede. Io in palestra questo l'ho sempre riscontrato. Chi ha poca forza muscolare a disposizione tende d'istinto ad arrivare allo stacco con le punte dei piedi, spesso senza poggiare i talloni e piegando relativamente poco il ginocchio, riducendo quindi al minimo il tempo di contatto al suolo e sfruttando al massimo la rapidità nell'azione del piede.

Se decido di correggere il movimento, per esempio chiedendo all'atleta di fare movimenti del tipo "tacco-punta" (vedi figura), di "caricare" maggiormente aumentando l'angolo al ginocchio, eccetera, sto praticamente chiedendo alla ragazza di ridurre l'uso reattivo delle gambe a favore della componente forza, col risultato che l'atleta si "pianta" al termine della rincorsa, saltando meno di prima perchè la sua forza non è ancora sviluppata abbastanza per consentirgli di andare in alto.

Il consiglio di Marco è stato quindi di non modificare il movimento di stacco, ma di richiedere all'atleta solo di saltare al massimo, accertandosi però che i passi della rincorsa siano nella sequenza corretta.

A questo punto mi è sorto un dubbio: Ma se io non modifico il movimento di stacco, quando queste atlete tra qualche anno inizieraranno a sviluppare la forza, dovrò agire sul movimento con qualche modifica?

Gli ho posto proprio questa domanda, e lui mi ha risposto che nella sua esperienza non c'è solitamente bisogno di correzioni specifiche in età sucessive, ma che l'atleta tende a modificare il movimento autonomamente quando inizia ad avere a disposizione maggiore forza muscolare, affiancandola alla reattività e sfruttando quindi entrambe secondo le proprie caratteristiche.

A noi allenatori rimane il compito di essere supervisori attenti di questo processo.

giovedì 24 maggio 2007

Due parole sulla "fast".

Sabato conversavo con un collega allenatore riguardo alle differenze tra le tecniche d'attacco nel maschile e nel femminile. Ovviamente il discorso è finito sull'attacco con stacco ad un piede, forse la più evidente tra le tante variazioni tecniche riscontrabili, visto che nel maschile è praticamente inesitente.
Mi sono tra l'altro accorto che spesso chi lavora con i maschi è praticamente digiuno anche dei concetti base di questa tecnica, perciò ho pensato di spenderci sù due parole, visto che mi è capitano spesso di dover lavorare in palestra, anche partendo da zero, sullo sviluppo di questo tipo di colpo.

Intanto un accenno alle tecniche. In genere gli attacchi portati da dietro il palleggiatore con stacco a un piede sono di tre tipi: uno appena dietro l'alzatore, uno ad un metro e mezzo circa dal palleggiatore e uno molto vicino all'asta.
Tutti sono considerati come attacchi di primo tempo, anche se il tempo tra il tocco del palleggiatore e lo stacco dell'attaccante è ovviamente diverso. Nel primo caso, quello subito dietro l'alzatore (spesso chiamato "2"), l'azione è molto rapida e viene solitamente eseguita con un tempo lievemente ritardato rispetto al primo tempo davanti al palleggiatore. Il secondo tipo (chiamato abitualmente "B") è un poco più ritardato ma praticamente il tempo è lo stesso mentre il terzo, quello vicino all'asta che ormai tutti chiamano “fast”, può avere tempi diversi, a seconda delle caratteristiche della palleggiatrice e della schiacciatrice. Spesso la rincorsa differisce molto tra le giocatrici, ma il movimento conclusivo dell’attaccante ricorda molto da vicino quello del terzo tempo nel basket.

I problemi principali che un allenatore deve affrontare nell'insegnare a un attaccante questi tipi di attacco sono molti, ma io ho riscontrato che tre di questi sono molto importanti per la riuscita dell'azione, e precisamente:
- La spinta nel salto è fortemente asimetrica e principalmente supportata dalla gamba sinistra, il che inizialmente implica non poche difficoltà per chi abitualmente stacca "destro-sinistro" (cioè quasi tutti, visto che questo tipo di attacco è praticamente precluso ai mancini).
- Il braccio deve essere sempre alto e pronto a colpire la palla, in particolare per la "2" e la" B". Ciò implica un rapido "caricamento" del braccio e comunque il gomito tenuto in alto.
- In particolare la ricaduta deve essere molto curata, sia perchè comporta forti componenti di torsione a carico delle articolazioni della gamba, sia perchè deve consentire al giocatore di rientrare nella sua posizione di muro il più rapidamente possibile.

Inoltre, il palleggiatore ha un compito molto difficile, cioè quello di "nascondere" al centrale avversario la propria scelta e contemporaneamente garantire la corretta traiettoria e velocità dell'alzata. In questo modo si può sfruttare il più grande vantaggio di questi tipi di attacchi: il poter colpire su uno tratto di rete molto ampio, non consentendo quindi al muro di leggere preventivamente il probabile punto del colpo.

Questi colpi hanno creato degli sviluppi tattici molto interessanti nei sistemi di attacco, e parallelamente lo sviluppo di una adeguata tattica muro-difesa. Ma forse è meglio proseguire il discorso in un prossimo post. Ciao.

lunedì 21 maggio 2007

Succede anche in serie A.

Non so se avete seguito le vicende che hanno caratterizzato l’ultima giornata del campionato di serie A1 femminile. In particolare mi riferisco alla gara Despar Perugia-Asystel Novara; In effetti credo che pochi abbiano seguito la vicenda, anche perché il volley femminile ha la sfortuna di essere messo in onda dalla RAI, che in quanto a copertura televisiva del volley è da terzo mondo. Comunque riassumo ciò che è successo:

l’Asystel conquista la prima posizione matematica nella regular season alla penultima giornata, va quindi a giocare l’ultima gara a Perugia con le ragazze delle giovanili, regalando una facile vittoria alla squadra di casa. Tra l’altro preannuncia in precedenza le sue intenzioni, con grande disappunto della squadra perugina e di altre società interessate al risultato in quanto in corsa per il piazzamento nei play-off.

La cosa mi fa sorridere, perché queste vicende accadono praticamente sempre negli altri campionati, dove certo non ci sono i problemi pecuniari di scommesse e di incassi della serie A, ma dove comunque le persone e le società investono tempo e denaro con la stessa passione.

Bèh, sorrido perché vedere in serie A quel classico, triste teatrino che accade solitamente in questi casi, con comunicati deliranti sulla più o meno sportività di società e dirigenti, minacce di squalifiche, deferimenti e chi più ne ha più ne metta, mi procura un sottile piacere, forse perché ci fa sembrare quel mondo un po’ più vicino al nostro volley di tutti i giorni.

Per capire i toni della vicenda… leggete qui il comunicato del Perugia. E pensate che ora si stanno scontrando nei play-off!
A presto.

lunedì 14 maggio 2007

Il compromesso Velocità/Precisione

Più o meno tutti abbiamo imparato, col tempo e con l’esperienza, che aumentando la velocità di un movimento cala la precisione dello stesso. Però probabilmente non tutti sanno che questo fenomeno è stato molto studiato in passato e continua ad essere argomento di discussione anche ai giorni nostri. Il pioniere di questi studi è stato sicuramente lo psicologo statunitense Paul Fitts, il quale già negli anni ’50 aveva elaborato una legge, nota proprio come Legge di Fitts(1), che lega in scala logaritmica l’ampiezza di un movimento, la sua precisione ed il tempo del movimento stesso.
In pratica è stato dimostrato che quando viene richiesto un movimento rapido, a parità di ampiezza, la precisione diminuisce esponenzialmente.
Questa nozione di “compromesso” tra velocità e precisione è stata successivamente molto studiata e applicata ad ambiti diversi, ma nonostante siano stati introdotti ad oggi modelli molto più accurati(2), basati su test sperimentali, rimangono parecchie domande senza risposta. In particolare non si è ancora compreso totalmente perché il nostro sistema psicomotorio ci fa perdere accuratezza quando viene richiesta una maggiore velocità.

Rimane il fatto, ampiamente dimostrato sperimentalmente, che ciò avviene. In particolare, quando eseguiamo movimenti molto rapidi (meno di 0,2 secondi) come un attacco nel volley, un rovescio di tennis o una battuta nel baseball, la rapidità dell'azione non ci consente di correggere il movimento durante la sua esecuzione rispondendo agli stimoli sensoriali (feedback), perciò l’esecuzione del movimento è affidata quasi esclusivamente agli schemi motori che sono stati costruiti con l’allenamento e l’esperienza, cioè osservando il risultato del movimento fatto e cercando di applicare la correzione nella ripetizione successiva.

Perciò, quando si vuole “allenare” la precisione di un colpo che richiede anche potenza (cioè rapidità, in quanto a parità di lavoro la potenza aumenta al diminuire del tempo di esecuzione del lavoro stesso) è necessario ripetere molte volte il movimento, ma bisogna fare attenzione a lasciare il tempo all’atleta di osservare con calma il risultato dell’azione tra una ripetizione e l’altra, magari aiutandolo con qualche osservazione verbale.
E’ il caso tipico dell’allenamento dell’attacco “forte” nel volley. Ricordando quanto detto prima, credo che per ottenere una buona efficacia nell’allenamento di questo colpo sia importante mantenere un intervallo tra ogni colpo non troppo breve ma neanche troppo lungo, diciamo tra i 5 e i 12 secondi, a seconda delle capacità dell’atleta nel valutare il risultato di ciascun colpo fatto.

Chiudo lanciando un’idea per un prossimo post. Nel volley, come in altri sport, non esiste solo la precisione "spaziale", intesa come mandare la palla dove vogliamo. C’è anche un'altra forma di precisione… la precisione “temporale”, cioè il colpire la palla quando vogliamo… ed è altrettanto importante.

P.S. Aggiungo i riferimenti bibliografici agli studi citati nel testo, se qualcuno ha voglia di spulciarseli…
(1) Fitts (1954). “The information capacity of the human motor system in controlling the amplitude of movement”. Journal of Experimental Psycology, 47, 381-391.
(2) Meyer, Abrams, Kornblum, Wright & Smith (1988). “Optimally in human motor performance: Ideal control of rapid aimed movements”. Psychological Review, 95, 3, 340-370.

lunedì 7 maggio 2007

Gli obiettivi delle rappresentative.

Come sempre in questo periodo, dalle nostre parti si inizia a parlare (e spesso sparlare) delle squadre rappresentative giovanili. Gli argomenti sono sempre gli stessi: capacità dei selezionatori, qualità degli atleti, società che non mandano nessuno e società troppo "presenti", eccetera. Non ci tengo ad aggiungermi al coro dei critici (purtroppo tanti) o dei difensori (pochi, e quasi sempre interessati) dell'operato di tizio piuttosto che di caio. Mi farebbe piacere invece che qualcuno mi aiutasse a rispondere ad alcune domande. Per esempio mi chiedo da un pò di tempo: qual'è l'obiettivo del lavoro delle rappresentative? Chi le organizza si è mai posto il problema dell’uniformità della condivisione del target da raggiungere? Mi chiedo questo perchè sono convinto che i metodi per raggiungere obiettivi distinti siano talvolta molto diversi tra loro; anzi, molto più spesso, semplicemente incompatibili.
Sono cose ovvie, direte voi. E invece no. Per chiarire tento di mettere su un piano un po’ più pratico il mio ragionamento.

A) Mettiamo che l'obiettivo sia l'individuazione dei talenti. Sicuramente questo è ciò che si propone la federvolley nazionale. Ma ai nostri comitati provinciali e regionali che gliene viene in tasca? Credo ben poco, a parte un poco di popolarità nel caso che qualche atleta entri nel giro di un gruppo giovanile nazionale.
B) E Se invece l’obiettivo fosse ottenere un buon piazzamento ad un certo torneo (Regioni, Isole, Studentesco, ecc.)? In questo caso i ruoli si invertono. A Roma non interessa quasi nulla che una regione si piazzi prima di un'altra, ma per la FIPAV regionale, prestigio a parte, questo comporterebbe un ranking migliore e quindi di possibilità di contare di più a livello nazionale.
C) Forse c’è anche un altro obiettivo: migliorare la crescita dei nostri atleti con occasioni di incontro utili anche per noi allenatori. Però credo che anche se questo è effettivamente un utile e simpatico effetto collaterale delle rappresentative, non è certo per questo motivo che la federazione spende una barca di soldi in selezioni e piani altezza.

Se ragioniamo un po’ su quanto ho detto ci vuole poco a capire che se dipendesse dalla federazione nazionale (obiettivo A) si farebbero 4 o 5 raduni di selezione per individuare i migliori talenti e Amen. Se invece fosse la federvolley isolana a decidere (e soprattutto se avesse i soldi…) avrebbe già precettato i migliori atleti dalle società per farli allenare tantissimo insieme e vincere (obiettivo B) il più possibile oltre tirreno.
Rimarrebbe l’obiettivo C… già, questo è l’obiettivo degli atleti, delle società e degli allenatori. Purtroppo non delle federazioni, anche se sono convinto che, sull’onda del “politically correct”, dichiarerebbero il contrario.
In sostanza credo che la coda di polemiche che tutti gli anni le selezioni per le rappresentative si portano dietro, con i conseguenti e prevedibili scarsi risultati, siano soprattutto il frutto della diversità di obiettivi tra la federazione ed i pallavolisti e all’interno della federazione stessa. Se si è così distanti sul fine, come si può concordare sui mezzi?