L'ottica dell'allenatore
Un problema che ho avuto quando ho iniziato a allenare è stato il guardare la partita con il coinvolgimento del giocatore, piano piano ho capito che dovevo guardare la partita da una maggiore distanza, ora mi spiego. Il giocatore valuta i palloni uno per uno, giro alla volta, si concentra nel massimo risultato per la singola palla, se anche l’allenatore usasse quest’ottica non capirebbe la partita, non avrebbe la lontananza giusta per capire l’evolversi della partita e capire su cosa intervenire, diciamo che dovrebbe essere quasi un dottore a bordo campo che cerca di trovare la medicina giusta al suo malato con la lucidità e il distacco che permetta di far funzionare il cervello. Troppo spesso invece presi dall’andamento della gara e il sangue al cervello che annebbia la vista ci troviamo più in palla dei giocatori, cosa che dovrebbe essere evitata ma cosa che è più facile a dirsi che a farsi, sarebbe meglio sforzarsi e guardare la partita da un ottica più lontana, che permetta non di guardare le azioni singole, ma lo sviluppo del gioco nel suo complesso. Tutti subiamo la partita come coinvolgimento e come emozioni, ma i risultati di questa tensione sono i più disparati, dalle urla senza fine ai silenzi, toccarsi i capelli, girarsi, saltare oppure parlare con tranquillità dopo l’errore del secolo. Una cosa però dobbiamo sempre evitare, andare fuori di testa, perché quando una nostra atleta ha i 5 minuti noi la facciamo accomodare in panchina, ma se fuori di testa andiamo noi… allora la partita è finita. Il nostro primo obiettivo è far si che la squadra si esprima al massimo, solo capendo la gara possiamo riuscirci, per fare quello allontaniamoci dalla singola palla e cerchiamo di avere uno sguardo il più ampio possibile, altrimenti con lo sguardo del giocatore si avranno secondo me 2 problemi: l’impossibilità di una lettura generale dalla gara e un coinvolgimento emotivo che ci potrebbe costare la lucidità delle scelte.