Visualizzazione post con etichetta Giovani. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Giovani. Mostra tutti i post

martedì 16 aprile 2013

Due stagioni con la rappresentativa regionale - parte seconda

Eccomi di nuovo qui, come promesso, a parlarvi della mia esperienza appena conclusa con la rappresentativa femminile regionale.

Allora, riprendiamo a raccontare: Dopo aver superato il primo momento di sconcerto, di cui ho parlato nel post precedente,  e dopo aver cercato, con risultati piu o meno profiqui, di vedere qualche allenamento delle squadre provinciali, il lavoro vero e proprio è cominciato con la partecipazione da osservatore interessato al Trofeo delle Provincie (TdP) il 23 gennaio a Oristano. Bisogna purtroppo dire che quell'anno (2011) la fascia di età del TdP era la stessa del Trofeo delle Regioni (TdR), e cioè 96-97. Questo è stato, tra l'altro, uno dei cambiamenti che con Pier Paolo siamo riusciti a introdurre, a nostro parere in positivo, a partire dall'anno successivo. Ma di questo ne parlerò più avanti.

Oltre che per osservare all'opera le pallavoliste più "in gamba" che la Sardegna poteva offrire, il TdP è stata un'occasione per definire con Pier Paolo i programmi di lavoro e per comprendere che cosa il CR sardo si aspettava da noi. Sicuramente ora avevamo le idee più chiare e potevamo iniziare ad organizzare, sin dai primi di febbraio, i primi collegiali.

Devo dire la verità, mi aspettavo poco. Ero cosciente dei problemi del volley femminile sardo, basta scorrere i vecchi articoli di questo blog per conoscere il mio punto di vista. Però, pur riconoscendo che ho visto pochissimi talenti degni di questo nome, ho visto tante ragazze assetate di pallavolo, fisicamente dotate e tecnicamente ben impostate, anche se purtroppo non in tutti i fondamentali. Insomma a mio parere il materiale su cui lavorare c'era, al contrario di quello che spesso noi allenatori ci raccontiamo, come alibi, per giustificare i nostri scarsi risultati in palestra.

Ma era giunto il momento di concentrarci  sul primo obiettivo della stagione, i Giochi delle Isole, che si sarebbero tenuti a Palermo da lì a poco. Il gruppo era più o meno quello del TdR dell'anno precedente, con qualche piccola modifica, anche a causa dei cambiamenti sul sistema muro-difesa che avevamo deciso di fare. L'obiettivo era infatti il primo posto, che voleva dire vincere con le fortissime padrone di casa: la squadra siciliana. E vista la caratura tecnica delle avversarie sapevamo che questo non sarebbe stato possibile senza un sistema di gioco un pochino più "evoluto".

Così, dopo un sempre troppo breve periodo d'allenamento, il 23 maggio il volo charter messo a disposizione dal CONI ci aspettava per portarci in Sicilia, dove per la prima volta avremmo potuto verificare la bontà del lavoro fatto fino ad allora. Ma di questo vi parlerò la prossima volta. Ciao!

martedì 5 marzo 2013

Due stagioni con la rappresentativa regionale - parte prima

Ciao a tutti! Riprendo a scrivere su questo blog, sperando che mi abbiate perdonato la lunghissima assenza dovuta alle cause di cui ho parlato nel precedente post, con l'intenzione di raccontarvi la mia esperienza con la selezione regionale femminile della Sardegna.

Tutto è iniziato con una telefonata di Vincenzo, presidente della FIPAV Sardegna, nel dicembre 2010, in cui mi disse che era stato fatto il mio nome durante una riunione del C.R.Sardo e che voleva verificare la mia disponibilità a ricoprire l'incarico di allenatore delle squadre giovanili federali sarde, insieme ad un altro allenatore di cui ancora ignoravo il nome e per un biennio, fino alle prossime elezioni regionali.

Sinceramente la richiesta mi ha preso un pò alla sprovvista; non mi aspettavo infatti, per vari motivi, che la FIPAV regionale mi tenesse tanto in considerazione da affidarmi un incarico di tale importanza. E' vero, solo sei mesi prima la mia squadra aveva ottenuto la promozione in serie B2, ma questa era tutta un altra cosa! Tra l'altro avevo appena deciso di prendermi un anno sabbatico dal volley per dedicarmi all'ampliamento della famiglia... Vabbè, secondo voi che ho fatto? Naturalmente ho detto di si, mi piacciono le nuove esperienze, e un pò incoscentemente ho deciso di iniziare questa avventura.

Così ho cominciato a lavorare, ad informarmi con altri allenatori che avevano già fatto questa esperienza, a cercare materiale per farmi un corretto modello prestazionale da seguire in palestra. Nel frattempo si delineavano meglio i contorni dell'incarico: Io sarei stato 1° allenatore per i Giochi delle Isole e 2° al Trofeo delle Regioni. Mi fu comunicato anche il nome dell'altro allenatore, Pier Paolo, di Olbia, che conoscevo poco e solo come avversario in alcuni campionati di Serie C. Lui sarebbe stato il 1° allenatore nel Trofeo delle Regioni e il mio secondo nei Giochi delle Isole.

Tante incognite e poche certezze. Questa era la sensazione all'inizio. Un salto nel buio? Con Pier Paolo iniziammo a sentirci al telefono per organizzare il lavoro ed i primi raduni allo scopo di conoscere le atlete. Anche lui, come me, è dubbioso. Non mi conosce,  non sa come lavoro in palestra, non conosce il mio carattere, non sa se ci troveremo bene insieme. Lo capisco. In questa regione ci sono tanti ottimi allenatori ma anche tanti presuntuosi ed esaltati, perciò non è facile dare subito fiducia ad uno (quasi) sconosciuto.

Pensammo che fosse meglio dividerci i compiti, almeno per i primi raduni. La Sardegna è grande, troppo grande e mal collegata. Le ragazze da vedere erano tantissime, perciò decidemmo: lui iniziò a fare una prima indagine nella zona di Sassari e Nuoro ed io ad Oristano e Cagliari.

Ci iniziammo a scontrare con i primi problemi: disponibilità e logistica delle palestre, campanilismi tra società, timore di vedersi soffiare le proprie atlete dalle "solite" società più ricche... oltre ad una diffusa diffidenza, soprattutto da parte delle società più "piccole", verso la FIPAV regionale e, di conseguenza, verso di noi che la rappresentevamo. Ho cercato di capire i motivi di questa diffidenza, parlando coi dirigenti e gli allenatori delle società. Sono saltati fuori i motivi più disparati, dalla semplice antipatia alla critica al lavoro fatto da chi ci ha preceduto, dall' incomprensione dell'utilità della rappresentativa regionale alla presunta ingratitudine dovuta ad episodi passati.

Insomma un campo minato. La prima cosa che allora decisi di fare era di cercare di comprendere i problemi che le società ponevano e, pur conscio di non poterli risolvere, cercare quantomeno di fargli capire l'importanza del nostro lavoro ed i vantaggi che le ragazze e, di riflesso, la società di appartenenza potevano avere nel lavorare in palesta con ragazze di altre società, anche se solo per pochi allenamenti.

Ho anche cercato di coinvolgere il più possibile allenatori, dirigenti e genitori, convinto che l'esperienza della selezione regionale deve andare oltre il coinvolgimento della singola atleta, diventando un occasione di partecipazione e scambio di opinioni che coinvolga tutti, ed in particolare quelle realtà più isolate che, probabilmente,  hanno meno occasioni di confronto pallavolistico al di fuori della loro zona o provincia (l'ho sempre pensato, come dimostra questo post scritto sei anni fa).

A questo punto mi chiederete: come è andata? Sei riuscito a combinare qualcosa? Beh, spero e penso di si. Ma non voglio annoiarvi troppo, ve lo racconterò in un prossimo post. Ciao e a presto.

mercoledì 1 dicembre 2010

Lavorare per oggi o per il futuro? Obiettivi e programmazione.

Mi è capitato qualche giorno fa di far due chiacchiere con un collega allenatore, impegnato con un gruppo giovanile femminile e incontrato per caso sul mio posto di lavoro, che mi ha espresso alcune sue difficoltà nel programmare le attività in palestra. In sintesi i problemi riguardavano il fatto che, a suo dire, non poteva "perdere troppo tempo" (sue testuali parole) allenando determinate cose in quanto, pur ritenendole importanti per il futuro delle sue giocatrici, al momento attuale gli creavano problemi al gioco e gli avrebbero fatto perdere le partite. Nel caso in particolare parlava del muro e di far palleggiare più di una alzatrice.

Molti di voi sorrideranno pensando che sia ovvio, in particolare se si parla di giovani, preferire la crescita tecnico-tattica nel lungo periodo alla vittoria nelle prossime gare. Sono in linea di massima d'accordo, ma se la soluzione teorica del problema pare semplice, sto iniziando a pensare che non sia così dal punto di vista pratico, almeno per gli allenatori meno "esperti", altrimenti non mi spiegherei la frequenza con cui sento altri allenatori lamentarsi di problemi simili. Ripensandoci mi sono reso conto infatti di quanto spesso, durante corsi, esami e tutte le varie occasioni di incontro con altri allenatori, mi sono sentito ripetere frasi del tipo "tanto non muriamo una palla, che faccio il muro a fare?" o "macchè primo tempo, è già troppo se facciamo qualche punto con la mezza" o ancora "lo so che è un pò presto per specializzare, ma se metto un altro alzatore perdiamo tutte le partite". Evidentemente la questione non è così ovvia, almeno non per tutti.

Ragionandoci un pò su, mi vengono in mente alcune considerazioni, apparentemente evidenti ma non semplici da pianificare in pratica. Prima cosa: Tutti in palestra siamo costretti a fare delle scelte, a causa del tempo e delle risorse a disposizione, della disponibilità degli atleti, delle aspettative della società, eccetera. Ma a prescindere dalla causa che ci costringe a scegliere, la vera domanda è questa: in base a quali considerazioni scegliamo la strada da seguire? La risposta, a mio parere, è una sola ed è lampante: in base agli obiettivi, di squadra e individuali, che ci siamo posti all'inizio della stagione e che abbiamo (spero) concordato con la società.

E qui si entra in un discorso, più ampio, che a mio parere continua ad essere troppo trascurato, soprattutto dai giovani allenatori: quello della programmazione del lavoro in palestra. Si parte dai già citati obiettivi, che devono essere condivisi da società, allenatore e, possibilmente, squadra. Per intenderci, se una società mi contatta chiedendomi di vincere un campionato giovanile, dicendomi pure che non gliene frega niente se questi ragazzi migliorano tanto sono tutti in prestito da altre società (N.d.A. non ci crederete ma in passato ho avuto una richiesta simile, ovviamente rifiutata), se accetto di allenare vuol dire che sto condividendo l'obiettivo, perciò il vincere ad ogni costo è prioritario rispetto ad altri obiettivi, e di conseguenza il lavoro in palestra è orientato al conseguimento di vantaggi nel brevissimo periodo.

Ho fatto volutamente un esempio limite per evidenziare l'importanza della scelta degli obiettivi, e della conseguente programmazione del lavoro (che non vuol dire solo scriversi gli allenamenti, come qualcuno crede), nella nostra attività di allenatori, importanza troppo spesso trascurata. Non è un caso che quando ho fatto la domanda, all'allenatore di cui vi ho parlato all'inizio, su quali obiettivi si era posto all'inizio dell'anno, lui mi ha detto praticamente tutti quelli possibili: "miglioraremaanchevinceremaanchedivertirsimaanche...". L'obiettivo del lavoro di una stagione non è mai unico, ma non possiamo neanche pensare di fare tutto. Diamoci delle priorità, senza esagerare. Se poi ci accorgiamo che abbiamo sottostimato gli obiettivi sarà facile aggiungerne altri, toglierli è molto più difficile. Se facciamo queste valutazioni con un pò di pazienza ed attenzione, le scelte da compiere durante la programmazione del lavoro in palestra ci appariranno più facili, e la strada da seguire sarà, forse, un pò più chiara.

martedì 4 marzo 2008

Dove stiamo andando? Seconda puntata.

In un post precedente ho introdotto il discorso sulla crisi delle società sportive, in particolare quelle maschili. Continuo qui esprimendo una mia perplessità sui motivi di questa crisi. Da molte parti sento dire che le società chiudono perchè "non ci sono ragazzi", non c'è più fame di sport, i giovani hanno troppe alternative, e via di questo passo. Sarà pur vero, sicuramente i giovani sono oggi pieni di alternative, ma sto incontrando spesso genitori e ragazzi (non necessariamente giovanissimi) che, sapendo che io "bazzico" nel volley, mi chiedono dove possono iscrivere i loro figli o dove possono andare per iniziare a giocare loro stessi. Mi è capitato anche recentemente, una mia collega mi ha detto che il figlio stava giocando a scuola, gli piaceva e voleva iscriverlo in una società. Gli ho indicato qualche nome, ma mi sono reso conto che non c'erano società in cui il ragazzo potesse ragionevolmente arrivare coi propri mezzi da dove abita. Lei non lo poteva accompagnare, perciò... adesso il ragazzo si è iscritto a nuoto.
E' solo un esempio, ma io credo che il vero motivo per cui pochi giovani si avvicinano alla pallavolo è che le società maschili stanno chiudendo, e non il contrario. Ragazzi ce ne sono stati sempre pochi, ma se prima gli oneri finanziari e organizzativi per le società erano relativamente modesti, oggi fare un campionato è diventato molto più difficile. perciò se prima con 7-8 "ragazzi" dai 13 ai 40 anni magari qualche società non ci perdeva nel fare un campionato di prima divisione, oggi chi si iscrive sa già che probabilmente ci perderà... se non soldi, sicuramente in stress e tempo più che in passato.
La scelta del comitato provinciale di Cagliari di non far pagare le tasse gare in alcuni campionati può sicuramente incentivare l'iscrizione di nuove squadre nel breve periodo, ma non può essere protratta per sempre, anche per l'ingiusta discriminazione che si crea verso le società femminili. Un tentativo comprensibile, ma quando si riequipareranno le cose saremo punto e accapo.
Idee per tentare di risolvere la situazione? Qualcuna ce l'ho, sperando che non sia troppo tardi ed il processo non sia diventato irreversibile. Però, visto che ho ancora tanto da dire, ve le propongo alla prossima (e spero ultima) puntata :o)

venerdì 21 dicembre 2007

Sempre sugli atleti "maturi" (e Buon Natale)

Dopo aver letto l'ultimo post di Alberto Giorda sugli atleti "maturi", vorrei ampliare il discorso oltre l'aspetto tecnico, rimarcando alcuni altri aspetti che il lavorare con uno o più atleti esperti in palestra porta con se. Ovviamente non si può fare di tutta l'erba un fascio, ma in generale ci sono degli aspetti comuni a questi atleti che vorrei sottolineare.
Diciamo che noi allenatori ci dividiamo in due categorie, più o meno distinte, quelli che considerano gli atleti maturi come preziosi, e quelli che li considerano dei rompiballe.
Si, perchè un atleta adulto è quasi sempre anche un rompiscatole: è uno che se ci inventiamo una cagata di esercizio si gira di palle e lo fa male, se lo facciamo sfreddare si lamenta, se lo teniamo in battuta mezz'ora s'incazza, se lo mettiamo in coppia col ragazzino scarso ci guarda sbuffando... insomma tutto il contrario di una ragazzina di 15 anni, che qualunque schifezza di lavoro gli facciamo fare sta zitta (vabbè non tutte...lo so) e lavora... al limite si lamenta con le compagne nello spogliatoio.
Siamo tutti buoni a fare i grandi allenatori con i ragazzini, ma con gli adulti? Noooo, non è colpa nostra: sono loro che sono dei rompiballe! Basta con questi grandi, che ce ne facciamo? Anzi guarda, l'anno prossimo direi di non fare più neanche la prima divisione, facciamo solo l'Under 18, cosi i ragazzi giocano lo stesso e questi ce li togliamo di mezzo una volta per tutte.
Mah...
Quante volte ho sentito parole simili, da colleghi allenatori e da dirigenti. Che dire. Io penso che gli atleti maturi siano una risorsa enorme, sia per noi allenatori, in quanto non hanno problemi a dircelo quando non sono d'accordo con noi, sia per far crescere i compagni più giovani. Quando giocavo penso di aver imparato tanto dai miei compagni più grandi, e anche gli atteggiamenti negativi di qualcuno in un certo senso mi hanno fatto crescere, mettendomi di fronte a ciò che era giusto o sbagliato fare in palestra. Ricordo ancora lo sguardo incazzato del compagno "bravo" a fianco a me quando sbagliavo una ricezione, che mi puniva più di qualsiasi urlo dell'allenatore. Ma anche le pacche sulla spalla quando facevo qualcosa di buono, che forse non si aspettavano da me... era come avere 5-6 allenatori in palestra, ciò che sfuggiva all'allenatore, non sfuggiva a loro.
Oggi molti atleti arrivano a 18 anni avendo giocato quasi esclusivamente con persone della loro età; Ma quando l'allenatore gira le spalle un attimo, che succede? Chi gli insegna come stare in palestra e come comportarsi in una squadra? L'allenatore può essere sbeffeggiato, ci si può "passare" quando non guarda, si può sfotterlo alle spalle, come col professore a scuola. Ma coi compagni più grandi è difficile, perchè il "compagno grande" non è un allenatore, e non gliene frega niente se il ragazzino può diventare forte o no: O sei forte ora, oppure devi impegnarti per diventarlo. Punto. Di tute le menate che pensano i dirigenti e gli allenatori non gliene frega niente.
Vorrei fare una proposta provocatoria in questo senso. Basta con le squadre di soli ragazzini, sono secondo me una delle cause principali della bassissima qualità dei giovani oggi in Sardegna. Propongo l'obbligo di due over 28 in ogni squadra under :).
Ovviamente scherzo, ma bisogna iniziare a capire che i giovani devono avere dei punti di riferimento in squadra, l'allenatore non basta.
A proposito... BUON NATALE A TUTTI!

martedì 19 giugno 2007

La specializzazione nei settori giovanili.

Domenica ho avuto l'occasione di sentir parlare Velasco. Bella chiaccherata, ha toccato molti argomenti e dato spunti interessanti, come solo un uomo di grande esperienza come lui sa fare. Uno di questi spunti ha riguardato un problema molto dibattuto negli ultimi anni: Cosa insegnare nei settori giovanili? insegnamo un pò di tutto, dedicando però poco tempo ad ogni gesto, oppure ci concentriamo solo su alcune azioni, cercando di insegnargli poche cose, ma bene?

Ovviamente Velasco ci ha spiegato la sua opinione, che volutamente non voglio riferirvi anche se la condivido, perchè il carisma del personaggio forse porterebbe a sposare il suo pensiero senza ragionarci un pò su. Il fatto è che quando alleniamo un settore giovanile, normalmente non abbiamo molto tempo a disposizione in palestra. Spesso è già tanto se abbiamo a disposizione 3 allenamenti da 90 minuti. Certo, possiamo far lavorare alcuni atleti anche con altri gruppi, ma pur essendo molto utile questo sistema spesso non ci consente di programmare in quel tempo un lavoro organico col resto degli allenamenti. Inoltre quasi mai è possibile farlo per tutti i ragazzi.

Perciò siamo costretti a fare delle scelte. Bella scoperta, ne facciamo continuamente direte voi. Ovviamente non si discute che a tutti i ragazzi si debbano insegnare i tocchi di base (palleggio, bagher, ecc.), ma per quanto riguarda determinate azioni "specializzabili", tipo ricezione, alzata, ecc. come ci comportiamo? Le scelte sono almeno due, con relativi vantaggi e svantaggi. Facciamo l'esempio dell'alzata:

1) Dedichiamo lo stesso tempo a tutti gli atleti. Facciamo cioè in modo che tutti i ragazzi si allenino e giochino a turno ad alzare al compagno, con gli stessi intervalli, anche in gara. In questo modo sposto la specializzazione dell'alzatore in tempi successivi, permettendo a tutti di provare le sensazioni e le difficoltà nell'alzare la palla. Nel contempo però la qualità del mio gioco sarà molto bassa, le alzate saranno mediamente molto fallose ed imprecise e di conseguenza sarà per tutti più difficile eseguire i colpi successivi (schiacciata e difesa).I tanti errori rischiano di non dare continuità al gioco, con il probabile effetto di ridurre il divertimento.

2) Facciamo alzare di più a chi ci sembra più dotato, differenziando il lavoro sia in allenamento che in gara. In questa maniera riusciamo a lavorare maggiormente sulle doti naturali di ciascuno e miglioriamo la qualità delle alzate e del nostro gioco, con maggiore soddisfazione dei ragazzi. Nel contempo però limitiamo la possibilità ad alcuni di provare ad alzare, rinviando a tempi successivi l'insegnamento dell'alzata se si vedrà la possibilità di farli giocare come alzatori.

Stesso discorso si può fare per la ricezione e per altre azioni del volley. Credo che con entrambi i metodi si possano ottenere dei risultati, ma quello che probabilmente abbiamo sempre trascurato è l'impatto che questa nostra scelta, allenare un poco di tutto o poche cose ma bene, avrà nella testa dei ragazzi e nella loro percezione della pallavolo.

mercoledì 30 maggio 2007

Sullo "stacco" nelle giovanili femminili.

Domenica a Cabras, durante un'interessante lezione di Marco Mencarelli, si è parlato, tra l'altro, di tempi di contatto del piede, forza e reattività nel salto. Un concetto che ha espresso mi ha colpito molto, anche perchè ho riscontrato spesso in palestra situazioni simili. Vorrei esporlo, così mi dite cosa ne pensate.

Si parlava della fascia U14 femminile (12-14 anni) e il nostro relatore ci ha fatto notare che a quell'età, in particolare nelle ragazze, la forza è praticamente pari a zero. Perciò se noi chiediamo ad una atleta di saltare al massimo lei tenderà ad usare l'unico "mezzo" che possiede per ottenere il risultato, e cioè la reattività del sistema caviglia-piede. Io in palestra questo l'ho sempre riscontrato. Chi ha poca forza muscolare a disposizione tende d'istinto ad arrivare allo stacco con le punte dei piedi, spesso senza poggiare i talloni e piegando relativamente poco il ginocchio, riducendo quindi al minimo il tempo di contatto al suolo e sfruttando al massimo la rapidità nell'azione del piede.

Se decido di correggere il movimento, per esempio chiedendo all'atleta di fare movimenti del tipo "tacco-punta" (vedi figura), di "caricare" maggiormente aumentando l'angolo al ginocchio, eccetera, sto praticamente chiedendo alla ragazza di ridurre l'uso reattivo delle gambe a favore della componente forza, col risultato che l'atleta si "pianta" al termine della rincorsa, saltando meno di prima perchè la sua forza non è ancora sviluppata abbastanza per consentirgli di andare in alto.

Il consiglio di Marco è stato quindi di non modificare il movimento di stacco, ma di richiedere all'atleta solo di saltare al massimo, accertandosi però che i passi della rincorsa siano nella sequenza corretta.

A questo punto mi è sorto un dubbio: Ma se io non modifico il movimento di stacco, quando queste atlete tra qualche anno inizieraranno a sviluppare la forza, dovrò agire sul movimento con qualche modifica?

Gli ho posto proprio questa domanda, e lui mi ha risposto che nella sua esperienza non c'è solitamente bisogno di correzioni specifiche in età sucessive, ma che l'atleta tende a modificare il movimento autonomamente quando inizia ad avere a disposizione maggiore forza muscolare, affiancandola alla reattività e sfruttando quindi entrambe secondo le proprie caratteristiche.

A noi allenatori rimane il compito di essere supervisori attenti di questo processo.

lunedì 7 maggio 2007

Gli obiettivi delle rappresentative.

Come sempre in questo periodo, dalle nostre parti si inizia a parlare (e spesso sparlare) delle squadre rappresentative giovanili. Gli argomenti sono sempre gli stessi: capacità dei selezionatori, qualità degli atleti, società che non mandano nessuno e società troppo "presenti", eccetera. Non ci tengo ad aggiungermi al coro dei critici (purtroppo tanti) o dei difensori (pochi, e quasi sempre interessati) dell'operato di tizio piuttosto che di caio. Mi farebbe piacere invece che qualcuno mi aiutasse a rispondere ad alcune domande. Per esempio mi chiedo da un pò di tempo: qual'è l'obiettivo del lavoro delle rappresentative? Chi le organizza si è mai posto il problema dell’uniformità della condivisione del target da raggiungere? Mi chiedo questo perchè sono convinto che i metodi per raggiungere obiettivi distinti siano talvolta molto diversi tra loro; anzi, molto più spesso, semplicemente incompatibili.
Sono cose ovvie, direte voi. E invece no. Per chiarire tento di mettere su un piano un po’ più pratico il mio ragionamento.

A) Mettiamo che l'obiettivo sia l'individuazione dei talenti. Sicuramente questo è ciò che si propone la federvolley nazionale. Ma ai nostri comitati provinciali e regionali che gliene viene in tasca? Credo ben poco, a parte un poco di popolarità nel caso che qualche atleta entri nel giro di un gruppo giovanile nazionale.
B) E Se invece l’obiettivo fosse ottenere un buon piazzamento ad un certo torneo (Regioni, Isole, Studentesco, ecc.)? In questo caso i ruoli si invertono. A Roma non interessa quasi nulla che una regione si piazzi prima di un'altra, ma per la FIPAV regionale, prestigio a parte, questo comporterebbe un ranking migliore e quindi di possibilità di contare di più a livello nazionale.
C) Forse c’è anche un altro obiettivo: migliorare la crescita dei nostri atleti con occasioni di incontro utili anche per noi allenatori. Però credo che anche se questo è effettivamente un utile e simpatico effetto collaterale delle rappresentative, non è certo per questo motivo che la federazione spende una barca di soldi in selezioni e piani altezza.

Se ragioniamo un po’ su quanto ho detto ci vuole poco a capire che se dipendesse dalla federazione nazionale (obiettivo A) si farebbero 4 o 5 raduni di selezione per individuare i migliori talenti e Amen. Se invece fosse la federvolley isolana a decidere (e soprattutto se avesse i soldi…) avrebbe già precettato i migliori atleti dalle società per farli allenare tantissimo insieme e vincere (obiettivo B) il più possibile oltre tirreno.
Rimarrebbe l’obiettivo C… già, questo è l’obiettivo degli atleti, delle società e degli allenatori. Purtroppo non delle federazioni, anche se sono convinto che, sull’onda del “politically correct”, dichiarerebbero il contrario.
In sostanza credo che la coda di polemiche che tutti gli anni le selezioni per le rappresentative si portano dietro, con i conseguenti e prevedibili scarsi risultati, siano soprattutto il frutto della diversità di obiettivi tra la federazione ed i pallavolisti e all’interno della federazione stessa. Se si è così distanti sul fine, come si può concordare sui mezzi?

martedì 17 aprile 2007

Progetto Uomini: oltre il 2010

Stavo leggendo la presentazione del progetto federale “oltre il 2010” finalizzato, cito testualmente le parole del sito federvolley.it, “ad un grosso rilancio del movimento maschile nei prossimi anni” (se non l’avete letto, cliccate qui).
La parte iniziale, dove si analizzano le cause della non rosea situazione attuale, è quella che mi ha fatto più pensare. Ci sono in particolare un paio di affermazioni su cui vorrei dire due parole.
Una è la seguente: “…l’obbligo dei giovani nei campionati di serie era stato mal digerito da molti club. Poco spazio quindi per i giovani, che pativano la presenza di un numero di atleti dai 30 ai 40 anni ben costruiti tecnicamente…”. Intanto mi stupisce l’attribuzione ai club del fallimento della regola dell’obbligo dei giovani, a mio parere uno dei più grandi errori fatti in passato dalla federazione. Ciò indica probabilmente che in FIPAV non si è ancora capito il perché dei risultati disastrosi di quella norma. A parte ciò, non riesco a capire se l’ultima frase è più un invito ai giocatori “dai 30 ai 40 anni” a mettersi da parte oppure una velata critica agli allenatori che non creano atleti giovani “ben costruiti tecnicamente”ed in grado quindi di competere con gli atleti più grandi. Se, come credo, è proprio quest’ultimo il senso principale della frase, devo dire che mi trova molto d’accordo. Infatti, da una frase successiva dove si ritrovano più o meno gli stessi concetti (“Inoltre l’idea di allenare il “gioco globale”, oltre a ridurre la durata degli allenamenti ha portato i tecnici ad avere sempre meno tempo per allenare la tecnica individuale delle giovani “riserve”) sembra che si stia comprendendo uno dei problemi principali dei settori giovanili: Si sta allenando poco la tecnica, in quanto la moda negli ultimi anni è quella di molti esercizi globali rispetto ai lavori sintetici e analitici.
Mi auguro che il progetto “oltre il 2010” sia il primo passo verso la fine di questa moda scellerata ed il ritorno alla centralità della tecnica individuale nei settori giovanili. Credo che a livello nazionale lo abbiano capito… vediamo quanto tempo ci metteremo a recepirlo anche noi.

P.S. per chi non lo sapesse la nazionale prejuniores maschile è arrivata solo ottava agli europei, e ciò dimostra quanta strada c’è da fare…

mercoledì 11 aprile 2007

Gli adulti e la tecnica individuale

Visto che a Pasqua ho avuto un pò di tempo libero, ne ho approfittato per riordinare degli appunti di corsi che avevo a casa. Scartabellandoli mi sono accorto che tutto il materiale che ho sulla tecnica individuale riguarda solo i settori giovanili. Mi sono chiesto il perché... e ho trovato un po’ di motivi possibili:
-1- Forse coi grandi è inutile lavorare sulla tecnica individuale?
-2- Forse agli atleti maturi non importa più affinare la loro tecnica?
-3- Forse la tecnica si insegna allo stesso modo ai giovani e agli adulti?
-4- Forse alla federazione non interessano gli adulti non già tecnicamente forti?

Alle prime tre domande risponderei in generale NO, con qualche dubbio sulla seconda; Per l’ultima la risposta a mio parere è SI. Ciò è anche ovvio, la federvolley è sempre troppo concentrata sulla prospettiva delle nazionali, perciò tende a trascurare tutto ciò che non è finalizzato alla creazione di atleti di altissimo livello. Del resto se l’aggiornamento degli allenatori lo organizzasse la lega volley, vedremmo sicuramente molti più corsi sull’allenamento degli adulti, sulla gestione degli stranieri, sulla tattica di squadra e sul coaching... Ognuno giustamente tira l’acqua al suo mulino, e finchè l’aggiornamento sarà restito dalla federazione, rassegnamoci a vedere trascurati gli aspetti relativi agli atleti evoluti.
Ma non è di questo che volevo parlare.

Io credo che la tecnica si possa (e si debba) imparare o migliorare ad ogni età. Ovviamente risulta più complicata la correzione di un gesto, quindi la modifica di uno schema motorio già acquisito, piuttosto che l’insegnamento di una tecnica nuova. Gli adulti sono perciò svantaggiati, rispetto ai giovani, perché portano con se un bagaglio motorio più ampio e radicato nel tempo. La modifica dei gesti implica perciò negli atleti evoluti una forte componente motivazionale, senza la quale è molto difficile raggiungere dei risultati.
Convinto come sono che senza buone tecniche individuali è praticamente impossibile impostare valide tattiche di gara, sia individuali che di squadra, passo molto tempo a lavorare sulla motivazione dell’apprendimento tecnico dei miei atleti adulti, a mio parere la vera discriminante rispetto all’insegnamento della tecnica nei giovani. I ragazzi sono quasi sempre motivati ad apprendere e a modificare la tecnica, gli adulti un po’ meno (e qui torniamo sul secondo motivo tra quelli elencati prima). Più che altro i “grandi” vanno convinti dei motivi per cui è meglio, per loro, modificare un gesto che spesso ritengono già abbastanza efficace. Se si riesce a convincerli di ciò e superare quindi questa fase ho notato che, almeno per la mia esperienza, sono ricettivi e rapidi nell’apprendimento quasi quanto i giovani (talvolta anche di più). Credo perciò che con gli atleti maturi la vera sfida di un allenatore sia non tanto come insegnare o modificare un gesto, ma convincere l’atleta che lavorare su quel gesto sia utile e possa dargli qualcosa in più come giocatore. Convincerlo cioè che non è un atleta “arrivato”.

Concludo ricordando una frase di un mio vecchio allenatore, che amo ripetere ai miei atleti più presuntuosi: “Il giorno che crederai di saper giocare a pallavolo, avrai smesso di imparare”. E non vale solo per il Volley, non vi pare?

giovedì 29 marzo 2007

Genitori e figli nello sport.

Sono rimasto tristemente impressionato da uno spiacevole episodio di cronaca, avvenuto ieri ai mondiali di nuoto in corso a Melbourne, e rilanciato da diverse reti TV: Un allenatore-padre ha aggredito davanti alle telecamere la sua atleta-figlia, rea di non aver dato il meglio di sè in vasca (clicccando qui il servizio su youtube).
L'episodio si commenta e si condanna da sè, ma mi ha indotto a fare qualche considerazione sul rapporto genitori-figli nello sport.
A mio parere, uno dei motivi principali per cui lo sport è un attività fondamentale nel periodo adolescenziale (e non solo) consiste nel fatto che esso è l'unica attività ludica che impone disciplina, costanza, rispetto delle regole e dell'autorità. In pratica il giovane, che anela a sentirsi "bravo" agli occhi dei suoi compagni e di chi gli sta intorno, apprende pian piano che per ottenere ciò deve rispettare delle regole e allenarsi con assiduità. Il tutto, però, divertendosi.
Lo sport e, di conseguenza, le prestazioni sportive , non possono essere frutto di imposizioni violente o comunque coercitive, così come i risultati sportivi non possono essere ottenuti senza qualche rinuncia e sacrificio. Il giusto, come sempre, sta nel mezzo.
Se questi aspetti valgono per noi allenatori, che vediamo i nostri ragazzi solo qualche ora alla settimana, a maggior ragione diventano importantissimi nell'ambito famigliare in cui essi vivono.
Noi allenatori non siamo educatori, e mai e poi mai possiamo illuderci di esserlo; nessun genitore ci porta il figlio in palestra per educarlo al posto suo. Quello che un genitore chiede allo sport, e quindi il vero motivo per cui ci affida suo figlio, è la speranza che lo sport aiuti lo sviluppo delle qualità fisiche e delle attitudini sociali del proprio ragazzo. Certo che è difficile, quando si riscontra nell'atleta un aspetto della sua personalità che noi riteniamo palesemente sbagliato, non intervenire. Ma prima di farlo bisogna chiedersi come la famiglia valuta quell'atteggiamento e, possibilmente, consultarsi con i genitori stessi se riteniamo necessario fare qualcosa.
Voglio dire che in ogni caso, anche se noi allenatori spesso biasimiamo (quasi sempre a ragione) l'atteggiamento in palestra di certi genitori, non possiamo pensare di intervenire sugli aspetti comportamentali dei ragazzi escludendo i loro genitori. Perciò, se non vogliamo perdere gli atleti, dobbiamo cercare di intervenire anche sul loro nucleo famigliare.
Purtroppo però, non sempre questo è possibile.

martedì 6 marzo 2007

Sardegna Minivolley 2007

Purtroppo l'anno scorso mi sono perso la manifestazione di via Roma a Cagliari (guarda le foto cliccando qui). Tutti quelli che c'erano mi hanno detto che è stata una manifestazione bellissima. Bambini entusiasti dappertutto, campi a perdita d'occhio, tanto divertimento nello scenario fantastico del centro di Cagliari. Tutto ciò è stato possibile grazie alla Federazione (ovviamente) e al lavoro di tanti "volontari": allenatori, dirigenti, appassionati che sono andati là all'alba a montare campi, piazzare transenne, portare acqua e palloni. Voglio dire GRAZIE ai comitati federali e a tutte queste persone. Anche se non c'ero. Sono quei momenti in cui ci si riconcilia con il Volley "vero", quello con la V maiuscola , in cui anche noi più "anziani", spesso inaciditi, che a volte dimentichiamo lo spirito dello sport, ci ricordiamo che alla fin fine il volley "vero" è quello della strada e dei campetti di periferia, non solo la serie A (o B o C che sia).
Quest'anno vorrei essere là con voi. Spero di riuscirci; spero, soprattutto, di essere degno di voi e di quello che fate. Grazie ancora

mercoledì 28 febbraio 2007

La forma mentale del doping.

Che cos'è il doping? ve lo siete mai chiesti? State pensando a questa o quella sostanza? Ormoni? Aminoacidi? Eritropoietina? Okay, okay, certo. questo lo sappiamo tutti. Per fortuna nel nostro sport, almeno a livello regionale, questo tipo di sostanze non hanno (per ora?) un grande seguito.
Ma io voglio ragionare un pò con voi non del doping "chimico", ma della forma mentis che porta al doping. Questa, al contrario, la vedo sempre più diffusa; soprattutto tra i giovani. Anche nel nostro sport.
Va bene, ho capito... cercherò di essere più chiaro: A mio parere il doping, come ogni altro illecito sportivo, è il gradino finale di una mentalità corrotta, che si basa su due assiomi fondamentali:
1) Voglio il risultato, ma non sono disposto a sacrificarmi per averlo.
2) Io sono più furbo/intelligente/scaltro degli altri.
Questa mentalità, anche al di fuori dello sport, sta crescendo in modo esponenziale. Sta diventando predominante. Il perchè non lo sò, ma ogni volta che sento un allenatore (me compreso) lamentarsi con frasi del tipo: "i giovani non hanno più voglia di fare sport", "ci sono troppe alternative alla palestra", eccetera, penso che forse il doping è già tra noi, è solo questione di tempo.
Dobbiamo combattere questa idea di vittoria-senza-sacrificio, abbiamo ancora poco tempo... presto qualcuno inventerà il "viagra" dello sport, una pillola colorata che ci farà saltare 2 metri, schiacciare fortissimo, ricevere bene e non avrà controindicazioni. A quel punto sarà troppo tardi. Lo sport, almeno quello che noi conosciamo, sarà già morto.