giovedì 29 marzo 2007

Genitori e figli nello sport.

Sono rimasto tristemente impressionato da uno spiacevole episodio di cronaca, avvenuto ieri ai mondiali di nuoto in corso a Melbourne, e rilanciato da diverse reti TV: Un allenatore-padre ha aggredito davanti alle telecamere la sua atleta-figlia, rea di non aver dato il meglio di sè in vasca (clicccando qui il servizio su youtube).
L'episodio si commenta e si condanna da sè, ma mi ha indotto a fare qualche considerazione sul rapporto genitori-figli nello sport.
A mio parere, uno dei motivi principali per cui lo sport è un attività fondamentale nel periodo adolescenziale (e non solo) consiste nel fatto che esso è l'unica attività ludica che impone disciplina, costanza, rispetto delle regole e dell'autorità. In pratica il giovane, che anela a sentirsi "bravo" agli occhi dei suoi compagni e di chi gli sta intorno, apprende pian piano che per ottenere ciò deve rispettare delle regole e allenarsi con assiduità. Il tutto, però, divertendosi.
Lo sport e, di conseguenza, le prestazioni sportive , non possono essere frutto di imposizioni violente o comunque coercitive, così come i risultati sportivi non possono essere ottenuti senza qualche rinuncia e sacrificio. Il giusto, come sempre, sta nel mezzo.
Se questi aspetti valgono per noi allenatori, che vediamo i nostri ragazzi solo qualche ora alla settimana, a maggior ragione diventano importantissimi nell'ambito famigliare in cui essi vivono.
Noi allenatori non siamo educatori, e mai e poi mai possiamo illuderci di esserlo; nessun genitore ci porta il figlio in palestra per educarlo al posto suo. Quello che un genitore chiede allo sport, e quindi il vero motivo per cui ci affida suo figlio, è la speranza che lo sport aiuti lo sviluppo delle qualità fisiche e delle attitudini sociali del proprio ragazzo. Certo che è difficile, quando si riscontra nell'atleta un aspetto della sua personalità che noi riteniamo palesemente sbagliato, non intervenire. Ma prima di farlo bisogna chiedersi come la famiglia valuta quell'atteggiamento e, possibilmente, consultarsi con i genitori stessi se riteniamo necessario fare qualcosa.
Voglio dire che in ogni caso, anche se noi allenatori spesso biasimiamo (quasi sempre a ragione) l'atteggiamento in palestra di certi genitori, non possiamo pensare di intervenire sugli aspetti comportamentali dei ragazzi escludendo i loro genitori. Perciò, se non vogliamo perdere gli atleti, dobbiamo cercare di intervenire anche sul loro nucleo famigliare.
Purtroppo però, non sempre questo è possibile.

1 commento:

L@z ha detto...

Posto un commento di Daco che mi è arrivato qualche giorno fà (Scusami per il ritardo Daco, mi era proprio sfuggita la tua mail):
"Il fatto accaduto a Melbourne sicuramente ha lasciato tutti un po' indignati, perchè di violenza fisica si tratta, cosa molto lontana da un concetto di sport in cui la violenza è bandita e sono esaltate, o dovrebbero essere esaltate, altre cose come l'impegno, la costanza e il rispetto delle cose e delle persone; però noi tutti conosciamo e abbiamo visto situazioni nei campi dei più svariati sport in cui i genitori o i dirigenti o peggio gli allenatori aggrediscono in maniera più o meno simpatica i giocatori anche in categorie giovanili, certo... i colpi che si vedono nel filmato sono proprio assurdi, però a volte anche la violenza delle parole nei confronti dei giovani può essere a dir poco vergognosa. Volete alcuni esempi? Dirigenti o genitori che fanno scenate sugli spalti se l'allenatore decide di far giocare la meno brava o meno bravo (a parer loro). Crediamo che la\il ragazza\o non si accorga? E’ violenza quella? Secondo me psicologica lo è di sicuro, ma di esempi ne possiamo fare all'infinito. L@z dice che noi allenatori non siamo educatori, ma secondo me il discorso è che noi non vorremo essere educatori, perchè certe cose dovrebbero essere scontate, rispetto della figura dell'allenatore,dei giocatori giocatrici, delle o dei compagne\i, dei dirigenti, degli arbitri e magari anche delle attrezzature della palestra! Ma aimè non è così, almeno non sempre, e quindi? Quindi l'allenatore diventa educatore. Lo sport è uno dei pochi campi per i giovani in cui si lavora tutti insieme per uno scopo, quindi l'allenatore diventa una persona che educa i giovani a far lavoro di squadra a fidarsi degli altri. Il compito non è facile, a volte si è fortunati... altre volte meno. I rapporti con i genitori poi lasciamo perdere... a volte si è fortunati...a volte meno. Bisogna intervenire... ma come dice L@z: “purtroppo però, non sempre questo è possibile”.
Pensare che l'allenatore debba controllare 12 giocatori più 24 genitori, zii, zie e cugini dirigenti e altri... vedo la cosa proprio grigia, ma per fortuna sono casi rari e l'allenatore può stare tranquillo e lavorare su altre cose..." Daco