lunedì 30 aprile 2007

Finalità del muro

Domenica scorsa eravamo in palestra con Luigi Schiavon. Si è parlato del muro nelle categorie Under maschili e d’organizzazione dei settori giovanili. Una giornata interessante, in cui abbiamo rivisitato tanti argomenti importanti, spesso accantonati e dimenticati nei più remoti angoli della nostra memoria. Rispolverare queste cose non può che farci bene.

Avevo sentito Schiavon altre volte, e mi ha confermato la buona impressione che mi ero fatto in precedenza. Mi è sembrato in particolare molto utile ribadire scopo e tattica del muro, perchè spesso in palestra ci dimentichiamo che il fine ultimo dell’insegnamento della tecnica è l’efficacia tattica, e non la correttezza formale dell’esecuzione.

Mi è piaciuto in particolare come ha ribadito gli scopi principali del muro, e cioè:
1) - Inibire alcune traiettorie, ribattendole nel campo avversario.
2) - Rallentare la velocità di altre traiettorie per facilitarne la difesa.
3) - Essere punto di riferimento per il piazzamento dei difensori.

Come vedete non ha inserito tra gli scopi del muro quello di “fare punto”, cosa con cui concordo. Infatti, nonostante il muro rappresenti sicuramente una grande fonte di punti, anche a mio parere il punto diretto non è uno dei suoi fini primari. Più che uno scopo, il punto diretto a muro è una componente tattica importante nell’economia della squadra. Successivamente infatti, parlando degli aspetti tattici del muro, ha detto che:
- è una importante fonte diretta di punti;
- è un punto di riferimento essenziale nella organizzazione della fase difesa-contrattacco;
- un arma di pressione sull’attacco avversario;

Penso che questi siano degli spunti importanti su cui riflettere, indipendentemente che si sia d’accordo o no. L’insegnamento della tecnica non può prescindere da un analisi accurata degli scopi e degli obiettivi tattici a cui si vuole arrivare. E questo vale per tutto… non solo per il muro.

Grazie mille a Luigi e al C.R. che ci ha permesso di incontrarlo.

lunedì 23 aprile 2007

La sardegna retrocessa.

Ieri, alla prima lezione del master allenatori, ci è stata data la notizia che la sardegna non avrà più diritto, in futuro, a portare una squadra ai play-off per la promozione in B2. Praticamente, se ho capito bene, passerà solo la prima classificata della C e stop. Finiti quindi finiti i play-off di serie C? Bè, a meno che non si metta in discussione che la prima classificata passi direttamente in B2, direi proprio di si. Sigh!
Qualcuno dirà "poco male, tanto nessuna squadra sarda era mai passata tramite i play-off in B2". Però era un obiettivo, un traguardo che rendeva i campionati più divertenti ed interessanti fino alle ultime giornate.
A parte qualsiasi considerazione sul perchè di questa retrocessione, mi rimane solo tanta amarezza. Probabilmente ce lo siamo anche meritati, ma è certo che la serie C, dall'anno prossimo, non sarà più la stessa.

martedì 17 aprile 2007

Progetto Uomini: oltre il 2010

Stavo leggendo la presentazione del progetto federale “oltre il 2010” finalizzato, cito testualmente le parole del sito federvolley.it, “ad un grosso rilancio del movimento maschile nei prossimi anni” (se non l’avete letto, cliccate qui).
La parte iniziale, dove si analizzano le cause della non rosea situazione attuale, è quella che mi ha fatto più pensare. Ci sono in particolare un paio di affermazioni su cui vorrei dire due parole.
Una è la seguente: “…l’obbligo dei giovani nei campionati di serie era stato mal digerito da molti club. Poco spazio quindi per i giovani, che pativano la presenza di un numero di atleti dai 30 ai 40 anni ben costruiti tecnicamente…”. Intanto mi stupisce l’attribuzione ai club del fallimento della regola dell’obbligo dei giovani, a mio parere uno dei più grandi errori fatti in passato dalla federazione. Ciò indica probabilmente che in FIPAV non si è ancora capito il perché dei risultati disastrosi di quella norma. A parte ciò, non riesco a capire se l’ultima frase è più un invito ai giocatori “dai 30 ai 40 anni” a mettersi da parte oppure una velata critica agli allenatori che non creano atleti giovani “ben costruiti tecnicamente”ed in grado quindi di competere con gli atleti più grandi. Se, come credo, è proprio quest’ultimo il senso principale della frase, devo dire che mi trova molto d’accordo. Infatti, da una frase successiva dove si ritrovano più o meno gli stessi concetti (“Inoltre l’idea di allenare il “gioco globale”, oltre a ridurre la durata degli allenamenti ha portato i tecnici ad avere sempre meno tempo per allenare la tecnica individuale delle giovani “riserve”) sembra che si stia comprendendo uno dei problemi principali dei settori giovanili: Si sta allenando poco la tecnica, in quanto la moda negli ultimi anni è quella di molti esercizi globali rispetto ai lavori sintetici e analitici.
Mi auguro che il progetto “oltre il 2010” sia il primo passo verso la fine di questa moda scellerata ed il ritorno alla centralità della tecnica individuale nei settori giovanili. Credo che a livello nazionale lo abbiano capito… vediamo quanto tempo ci metteremo a recepirlo anche noi.

P.S. per chi non lo sapesse la nazionale prejuniores maschile è arrivata solo ottava agli europei, e ciò dimostra quanta strada c’è da fare…

venerdì 13 aprile 2007

Allenare la ricezione

Diciamo la verità, quante volte da atleti entrando in palestra e sentendo gli entusiastici annunci del coach “oggi facciamo Ricezione” siamo stati presi da sindromi depressive fulminanti o da crisi di rigetto convulsive per il bagher o peggio da forme di pentimento generalizzate per aver preferito la pallavolo al “banging jumping”. O ancora, da allenatori ci sarà capitato qualche volta di scervellarci per cercare delle soluzioni che rendessero il meno tedioso possibile questo “male necessario”.
D’altra parte è noto a tutti come mano a mano che si scenda di categoria diventi sempre più importante la fase ricezione punto rispetto alla fase break (secondo la collaudata filosofia del “tenere il cambio palla” aspettando il prima o poi inevitabile errore avversario), per cui nell’ipotesi di un programma di lavoro inquadrato nell’ambito di un campionato seniores di medio basso livello (serie D o C) che preveda 3 sedute settimanali da 2 o 2,5 ore, una seduta almeno, se non qualcosa in più, va dedicata ad allenamenti specifici su questo fondamentale.
Mi permetto allora di fare qualche piccola considerazione, sulla base della mia esperienza diretta di ricevitore che ha “subito” migliaia di allenamenti sulla ricezione.
Anzitutto quali sono i principali problemi da risolvere quando si affronta un allenamento contenente esercizi analitici o analitico-sintetici su battuta e ricezione? - Beh io ne ho individuato più di un paio:
1) La ricezione in sé è una situazione intrinsecamente frustrante se non è in qualche modo collegata all’attacco, in maniera tale che si possano sfogare i momenti di scarsa efficienza in ricezione con schiacciate vincenti. In altre parole, soprattutto a livello giovanile, un atleta in un esercizio in cui debba ricevere e basta, difficilmente garantirà continuità di concentrazione per più di 10 min: ad ogni ricezione sbagliata o imprecisa si avrà un abbassamento dell’autostima che non può essere eventualmente compensato da successiva azione d’attacco positiva, al diminuire dell’autostima diminuisce la concentrazione e conseguentemente decadono le prestazioni, secondo il più classico dei processi a catena.
2) La gestione dell’errore in battuta che può produrre delle cadute di ritmo esasperanti in un esercizio di battuta e ricezione: immaginiamo il caso non infrequente di 2 o 3 errori consecutivi al servizio, che da un lato dobbiamo aspettarci quando chiediamo di forzare il servizio per allenare la ricezione.
3) Generalmente durante gli esercizi di ricezione gli atleti direttamente coinvolti sono pochi (2 o 3 ricevitori ed eventualmente 1 o 2 giocatori a palleggiare) per cui per il resto del gruppo si prospetta la giacenza presso una o due file e l’aspettativa di una battuta mediamente ogni minuto e mezzo. Morale i giocatori si raffreddano, sempre che si siano mai riscaldati, cominciano a fare salotto tra una battuta e l’altra, la concentrazione diminuisce, per cui aumentano le probabilità di errore al servizio accelerando così il processo a catena descritto in precedenza.
Sulla base di quanto scritto sopra io limiterei al massimo o eviterei accuratamente esercizi del tipo “ tutti a battere da una parte e 2 o 3 a ricevere". Potrebbe invece essere preferibile una progressione di riscaldamento che preveda il campo diviso longitudinalmente e due gruppi che attuano un circuito dove a turno possano lanciare (battere quando caldi), ricevere, alzare, appoggiare (attaccare quando caldi), difendere.
Oppure se proprio vogliamo far solo ricevere potremmo mettere i 2 ricevitori nella Z5 di ciascuna metà campo (oppure Z1) e far ruotare i battitori da un campo all’altro dopo il servizio. Forse però l’esercizio di riscaldamento più efficace è il lavoro a terzetti disposti perpendicolarmente alla rete con 2 palloni in cui uno batte, uno riceve, ed uno passa i palloni sottorete. Nel sintetico/globale di ricezione attacco forse è utile lavorare in una configurazione tre contro tre o quattro contro quattro in cui si riceve solo da una parte (magari cambiando i ricettori a seconda della rotazione che si vuole allenare) e dall’altra parte si entra ed esce a coppie. Infine un’ultima proposta di esercizio che ho visto fare in squadre di alto livello dove (beati loro) adottano riscaldamenti differenziati per ruolo: un canestro mobile appoggiato al muro, un ricevitore che riceve, cercando il canestro, il rimbalzo sul muro della battuta da parte di un Trainer (il tocco del muro dopo la ricezione simula il passaggio della palla dall’altra parte del campo ed equivale ad un errore).

mercoledì 11 aprile 2007

Gli adulti e la tecnica individuale

Visto che a Pasqua ho avuto un pò di tempo libero, ne ho approfittato per riordinare degli appunti di corsi che avevo a casa. Scartabellandoli mi sono accorto che tutto il materiale che ho sulla tecnica individuale riguarda solo i settori giovanili. Mi sono chiesto il perché... e ho trovato un po’ di motivi possibili:
-1- Forse coi grandi è inutile lavorare sulla tecnica individuale?
-2- Forse agli atleti maturi non importa più affinare la loro tecnica?
-3- Forse la tecnica si insegna allo stesso modo ai giovani e agli adulti?
-4- Forse alla federazione non interessano gli adulti non già tecnicamente forti?

Alle prime tre domande risponderei in generale NO, con qualche dubbio sulla seconda; Per l’ultima la risposta a mio parere è SI. Ciò è anche ovvio, la federvolley è sempre troppo concentrata sulla prospettiva delle nazionali, perciò tende a trascurare tutto ciò che non è finalizzato alla creazione di atleti di altissimo livello. Del resto se l’aggiornamento degli allenatori lo organizzasse la lega volley, vedremmo sicuramente molti più corsi sull’allenamento degli adulti, sulla gestione degli stranieri, sulla tattica di squadra e sul coaching... Ognuno giustamente tira l’acqua al suo mulino, e finchè l’aggiornamento sarà restito dalla federazione, rassegnamoci a vedere trascurati gli aspetti relativi agli atleti evoluti.
Ma non è di questo che volevo parlare.

Io credo che la tecnica si possa (e si debba) imparare o migliorare ad ogni età. Ovviamente risulta più complicata la correzione di un gesto, quindi la modifica di uno schema motorio già acquisito, piuttosto che l’insegnamento di una tecnica nuova. Gli adulti sono perciò svantaggiati, rispetto ai giovani, perché portano con se un bagaglio motorio più ampio e radicato nel tempo. La modifica dei gesti implica perciò negli atleti evoluti una forte componente motivazionale, senza la quale è molto difficile raggiungere dei risultati.
Convinto come sono che senza buone tecniche individuali è praticamente impossibile impostare valide tattiche di gara, sia individuali che di squadra, passo molto tempo a lavorare sulla motivazione dell’apprendimento tecnico dei miei atleti adulti, a mio parere la vera discriminante rispetto all’insegnamento della tecnica nei giovani. I ragazzi sono quasi sempre motivati ad apprendere e a modificare la tecnica, gli adulti un po’ meno (e qui torniamo sul secondo motivo tra quelli elencati prima). Più che altro i “grandi” vanno convinti dei motivi per cui è meglio, per loro, modificare un gesto che spesso ritengono già abbastanza efficace. Se si riesce a convincerli di ciò e superare quindi questa fase ho notato che, almeno per la mia esperienza, sono ricettivi e rapidi nell’apprendimento quasi quanto i giovani (talvolta anche di più). Credo perciò che con gli atleti maturi la vera sfida di un allenatore sia non tanto come insegnare o modificare un gesto, ma convincere l’atleta che lavorare su quel gesto sia utile e possa dargli qualcosa in più come giocatore. Convincerlo cioè che non è un atleta “arrivato”.

Concludo ricordando una frase di un mio vecchio allenatore, che amo ripetere ai miei atleti più presuntuosi: “Il giorno che crederai di saper giocare a pallavolo, avrai smesso di imparare”. E non vale solo per il Volley, non vi pare?

venerdì 6 aprile 2007

I sistemi rappresentazionali e il ruolo dell'allenatore

Vorrei anch’io contribuire al dibattito sui sistemi rappresentazionali (s.r.) lanciato da Andrea in un post di qualche giorno fa. E visto che lui cavolate non ne ha scritte.. magari provvederò io!
Spero comunque che le mie idee possano essere uno spunto per ragionare insieme su un tema molto importante. Le mie considerazioni si sviluppano su tre punti tra loro legati:

a) Il livello individuale-collettivo

Ferma restando la necessità di scomporre problematiche complesse analizzando alcuni aspetti singolarmente, concentrarsi troppo sul messaggio "individuale" può forse rischiare di essere fuorviante. In palestra un allenatore comunica nel 99% dei casi con la squadra. Se ci rivolgiamo ad un atleta spesso possono sentire anche gli altri e anche quando lo prendiamo da parte lanciamo comunque un messaggio (non verbale) al resto del gruppo. Dobbiamo preoccuparci della comunicazione a 360 gradi calcolando non solo gli effetti e le modalità di quanto diciamo ma anche di quanto non diciamo, praticamente sempre di fronte ad una platea di più individui.
Mi viene da domandarmi se si possa parlare anche di s.r. "collettivi" ossia: un gruppo ha un proprio s.r. dominante distinto da quello prevalente per la maggior parte dei singoli presi separatamente? Vale la pena di pensarci, specialmente se si parla di gruppi che hanno una propria “identità” collettiva ben definita.

b) I meccanismi di interazione dell’insegnamento

Possiamo affermare con certezza che il s.r. dominante individuale sia completamente esogeno ed immutabile (come il colore degli occhi, ad esempio)?
E’ probabilmente vero che l’allenatore non è un “educatore” però sono convinto che l’allenatore possa considerarsi un "istruttore": qualcosa di più di un "comunicatore". Per questo forse può (e deve) anche contribuire a sviluppare strategie di apprendimento efficaci nella persona che sta formando. La mia idea è che probabilmente si può anche sviluppare e modificare la combinazione dei s.r. attraverso la proposta e lo stimolo dell’istruttore.

Inoltre chi insegna (sia un maestro o un allenatore) non solo "comunica" ma trasmette una sua figura: da questa dipende in larga misura il successo nell'apprendimento. Le tecniche di mirroring (anche di linguaggio), a mio parere, funzionano fino ad un certo punto in questo contesto: l'empatia cresce in maniera molto più marcata quando l'istruttore è in grado di rappresentare un "modello" (e in questo entra anche il discorso del carisma, della coerenza, della personalità) che non passa necessariamente per il rispecchiamento e la comunanza di linguaggio. Intendiamoci, questi restano comunque strumenti di comunicazione importantissimi ma a volte, se ricercati in maniera sistematica e “ossessiva”, potrebbero addirittura sortire l’effetto opposto in termini di apprendimento.

c) L’ascolto attivo

Non si deve trascurare l'attenzione e l'ascolto attivo di chi apprende. Anche questo non si esaurisce, secondo me, nella coincidenza di linguaggio ed è legato anche al discorso della “figura” di chi insegna di cui dicevo prima.

Tralasciando il dibattito sulla scarsa evidenza empirica nella letteratura scientifica della coincidenza tra aspetti comportamentali e s.r. dominante, tipica della Programmazione Neuro Linguistica (come nel caso del movimento degli occhi..) e che forse giustificherebbe quanto sto dicendo anche sulla base di un'azione di insegnamento che avviene necessariamente in un contesto di incertezza sulle caratteristiche di apprendimento dell'allievo, io credo che in ogni caso ognuno di noi apprenda attraverso TUTTI i s.r. e quello dominante sia semplicemente quello del quale siamo “più coscienti”.

Utilizzare in maniera appropriata “linguaggi” diversi può in molte circostanze, a mio avviso, risultare più stimolante ed istruttivo piuttosto che appiattire la comunicazione ad un unico “stile” anche se perfettamente allineato con il principale metodo di acquisizione delle informazioni che un allievo utilizza. E questo, nella mia esperienza, lo riscontro anche a livello individuale.

Faccio un parallelo sicuramente azzardato, ma che può far pensare.

Nella letteratura economica esistono numerosissimi studi che dimostrano come l’utilità dei consumatori nell’acquisto di un bene sia determinata non solo dalla preferenza e dall’utilità assegnata a quello specifico bene ma anche dalla cosiddetta “preference for variety”. I consumatori che scelgono comunque quel bene, sono più contenti (e vanno più volentieri a comprare) se lo scelgono in un negozio dove ci sono altri 50 possibili sostituti piuttosto che in un negozio dove c’è solo quello, a parità di altre condizioni. Chiaramente anche in questo c’è un limite (dare troppe alternative è come darne troppo poche). Teniamo presente che nel caso della comunicazione stiamo parlando di un bene non “primario”: grazie al cielo chi ascolta un messaggio (come chi legge questo noiosissimo post..) ha sempre la sacrosanta opzione di non prestare attenzione…

Vi auguro Buona Pasqua!

mercoledì 4 aprile 2007

Grande delusione per il master

Via riporto qui sotto la e-mail che ho appena mandato a Stefano Bellotti, responsabile di settore del Centro di Qualificazione Nazionale della FIPAV e per conoscenza alla Federazione Regionale Sarda. Penso che sia interessante per tutti.
"Caro Stefano

Mi chiamo Andrea Lazzari. Sono un allenatore che lavora in sardegna, ci siamo anche incontrati a qualche corso di aggiornamento nazionale, non sò se ti ricordi. Ti scrivo per parlarti di una serie di fatti che si mi ha molto amareggiato riguardo il master sui settori giovanili che sta per iniziare qui nella mia isola. Premetto che questa mail non vuole criticare nessuno, anzi penso che il CQR stia facendo del suo meglio, ma forse sta sottovalutando il malcontento che si riscontra tra molti allenatori.
Io mi sono iscritto al master perchè pensavo che non sarebbe stato il solito corso con cento allenatori seduti in tribuna ad ascoltare uno al microfono. Il bando era per 30 persone, e visto anche il costo (350euro!) ho pensato ad un master dove ci fosse un rapporto ravvicinato col docente, un qualcosa in cui oltre a ricevere in informazione (per cui basta comprarsi un video o un libro) ci fosse anche la possibilità di scambiare opinioni e confrontarsi realmente coi docenti. Insomma ero molto fiducioso.
Poi ho visto l'elenco degli ammessi (che ti allego). 43 allenatori. Come 43? ma non dovevano selezionarne 30? Quasi il 50% in più... Sinceramente mi son sentito un pò preso in giro, però ho detto vabbè, non sarà proprio un gran master, ma tutto sommato anche in così tanti, se organizzato bene, potrebbe essere un esperienza positiva.
Però poi è arrivata la doccia fredda. Ho telefonato a dei colleghi allenatori anche loro iscritti al master e cosa scopro? che chiunque potrà seguire le singole lezioni pagando appena appena di più (sembra 12,50 euro per giornata) di quello che paghiamo noi.
Insomma altro che master! alla fine saremo molti più che 40 persone; insomma il solito corso-casino camuffato da master!
Capisci ora perchè mi sento preso per i fondelli? alleno da 23 anni, e speravo di non vedere più situazioni di questo tipo.
Aggiungi poi a questo il discorso economico: in Lombardia lo stesso master costa 100 euro... perchè da noi 350? questa cifra forse era giustificata per il bando originale da 30 persone, (10.500 euro in tutto) ma ora che siamo 43 (15.050 euro) più gli esterni a 100 euro a lezione (almeno 8000 euro o più) si parla del 230% in più di guadagno per il CQR...
Io faccio l'ingegnere per vivere, e questa spesa me la posso permettere... ma molti allenatori che allenano le giovanili, a cui il master dovrebbe essere rivolto, sono studenti o giovani che non si possono permettere queste cifre. Mi sembra scandaloso che il CQR, visto che il numero dei corsisti, rispetto al bando, sarà probabilmente più che raddoppiato, non adegui anche la tassa da pagare o aggiunga altre date per compensare le promesse disattese.
Insomma io, e non solo io, mi sento veramente preso in giro. Parteciperò comunque al master, sperando in un gesto che mi smentisca, ma non credo che questo sia lo spirito che il CQN vuole dare alla qualificazione degli allenatori.
Ti ringrazio per l'attenzione, e ti prego di far arrivare queste mie parole anche a Vincenzo Ammendola, che qui in sardegna molti di noi hanno votato sperando (?) in un nuovo corso. Io gli parlerò di persona alla prima occasione.
A presto
Andrea Lazzari"
Quello che ho scritto si commenta da se. Vorrei sapere cosa ne pensate voi, anche privatamente, grazie.

martedì 3 aprile 2007

I Sistemi Rappresentazionali

Come avevo promesso commentando un post passato (clicca qui per leggerlo) , cerco di spiegare un pò più in dettaglio i sistemi rappresentazionali (da adesso li chiamo s.r.) e perché è così importante cercare di capire quelli del nostro interlocutore se vogliamo che assimili i concetti che gli stiamo trasmettendo.
Noi attingiamo informazioni dal modo che ci circonda attraverso i nostri 5 sensi; perciò, quando rappresentiamo al nostro interno le informazioni, tendiamo a schematizzarle attraverso delle sensazioni. I s.r. sono quindi i metodi attraverso il quale memorizziamo dentro noi stessi le informazioni che apprendiamo. Teoricamente sono 5, uno per ciascun senso, ma a noi ne interessano praticamente solo 3: visivo (vista), uditivo (udito) e cinestetico (sensazioni tattili e motorie).
Ogni persona ha il suo s.r. dominante, il sistema cioè che preferisce utilizzare per rappresentare le informazioni dentro se stesso. Il s.r. dominante è molto importante perchè determina molti tratti caratteriali e le capacità di apprendimento (per esempio una persona con s.r. dominante visivo apprenderà meglio leggendo o guardando un video piuttosto che ascoltando una lezione).

Ma come riconoscere il s.r. dominate del nostro interlocutore? Ci vuole un po’ di esperienza... ma cerco di dare qualche aiutino:
- I “Visivi” si riconoscono solitamente per la postura eretta, si guardano attorno con molta curiosità, Sono vivaci e usano frasi brevi con periodi meno letterari, con una gestualità molto accentuata; danno inoltre molta importanza all’aspetto estetico delle cose e delle persone. Mentre parlano utilizzano spesso parole e frasi come: “vedo”, “bello”, “è chiaro”, “guarda”, lampante”, “punto di vista”, “immagine chiara”, ecc.
- Gli “Uditivi” durante una conversazione muovono gli occhi lentamente, anche il respiro è più lento; imparano ascoltando e rispetto ai visivi sembrano più cauti e riflessivi. La voce è spesso monotona o melodica. Nei suoi discorsi compaiono spesso frasi tipo: “mi suona bene”, “senti”, “ascolta”, “nota stonata”,”parola per parola”, “tono”, ecc.
- I “Cinestetici” amano il contatto fisico e tutto ciò che ha a che vedere con tatto, gusto e olfatto; spesso giocano con oggetti quando parlano o ascoltano e hanno meno considerazione dell’aspetto delle cose rispetto ai contenuti; Memorizzano facendo pratica e spesso parlano poco. Nel parlare usano concetti del tipo “dolce”, profumato”, “duro”, “tosto”, “rammollito” “tocca con mano”, “sono teso”, “solido come una roccia”, ecc.

Per noi allenatori è ovviamente molto importante imparare a conoscere quale tipo di s.r. è dominante nei nostri atleti, perché ci consente di trasmettere l’informazione nello stesso “linguaggio” di apprendimento dell’atleta, riducendo così anche di molto i tempi di apprendimento.
Ci sono tante pubblicazioni sull'argomento per chi vuole approfondire, nel frattempo spero di avere un pò chiarito il concetto e... di non aver detto troppe cavolate :o)

lunedì 2 aprile 2007

Le rilevazioni Statistiche: diamo i numeri???

Approfitto dello spazio gentilmente offertomi da Andrea in questo blog per esporre una piccola riflessione su questo tema. Guardavo qualche settimana fa una partita di un campionato nazionale con un amico, manifestandogli le mie perplessità sulla, a parer mio, opaca prestazione in ricezione di uno dei giocatori in campo. A fine partita mi dirigo verso lo “Scout-man” per cercare il conforto dei numeri alla mia valutazione soggettiva. “Una prestazione discreta: 54% di positività e 40% di efficienza” mi sento rispondere; non contento incalzo chiedendo lumi in particolare sul quarto set (quello secondo me più imbarazzante). Grazie ai potenti mezzi messi a disposizione dal software della nota azienda bolognese del settore mi vengono proposti i dati del 4° set: 7 ricezioni totali di cui 4 (#), 1 (-) e 2 (=), il che produce 57% di positività e 28,5% di efficienza.
Col mio amico, d’accordo con me sull’incongruenza tra dato statistico e impressione dal campo, allora ci siamo chiesti se potessero esistere dei fattori di discrezionalità che potessero in qualche modo condizionare il così apparentemente ininfluenzabile responso dei numeri. Beh ne abbiamo trovato almeno 3:
1) Anzitutto il riferimento, ovvero qual è l’indice minimo di positività e/o di efficienza che costituisca la soglia per poter definire quando un giocatore abbia fatto una buona partita? Ne esiste uno unico che prescinde dalla categoria del campionato che si disputa, oppure ne esiste uno in base al livello del torneo, oppure ancora ne esiste uno individuato per ogni squadra sulla base di una media degli indici valutata nel corso dei mesi o degli anni; poi ancora si può pensare ancora di distinguere tra Libero primo e secondo ricevitore, o si individua un indice unico?
2) E’ poi così netta la differenza tra una ricezione (#) ed una ricezione (+) che non entra nel computo statistico, o è strettamente legata al palleggiatore con cui si gioca? (in altre parole, Farina il libero della Sisley ad esempio, manterrebbe le stesse percentuali di (#) se scendesse di categoria e giocasse con palleggiatori meno dotati?).
3) Infine il peso di un errore (=) in diversi momenti della partita non viene valutato dal computo statistico, anche se sappiamo tutti che sbagliare una ricezione sul 23 pari non ha lo stesso impatto che sul 3 a 5.
Alla fine abbiamo convenuto che la cosiddetta “policy” per la redazione e la elaborazione delle statistiche viene di volta in volta definita dall’Allenatore che istruisce i propri collaboratori sulle modalità di acquisizione dei dati…ma questo equivale a dire che il dato numerico che ne risulta, essendo modellato sulla discrezionalità dell’allenatore, perde quella caratteristica di oggettività che si pretendeva avesse quando nella pallavolo è stata introdotta l’elaborazione statistica.