venerdì 6 aprile 2007

I sistemi rappresentazionali e il ruolo dell'allenatore

Vorrei anch’io contribuire al dibattito sui sistemi rappresentazionali (s.r.) lanciato da Andrea in un post di qualche giorno fa. E visto che lui cavolate non ne ha scritte.. magari provvederò io!
Spero comunque che le mie idee possano essere uno spunto per ragionare insieme su un tema molto importante. Le mie considerazioni si sviluppano su tre punti tra loro legati:

a) Il livello individuale-collettivo

Ferma restando la necessità di scomporre problematiche complesse analizzando alcuni aspetti singolarmente, concentrarsi troppo sul messaggio "individuale" può forse rischiare di essere fuorviante. In palestra un allenatore comunica nel 99% dei casi con la squadra. Se ci rivolgiamo ad un atleta spesso possono sentire anche gli altri e anche quando lo prendiamo da parte lanciamo comunque un messaggio (non verbale) al resto del gruppo. Dobbiamo preoccuparci della comunicazione a 360 gradi calcolando non solo gli effetti e le modalità di quanto diciamo ma anche di quanto non diciamo, praticamente sempre di fronte ad una platea di più individui.
Mi viene da domandarmi se si possa parlare anche di s.r. "collettivi" ossia: un gruppo ha un proprio s.r. dominante distinto da quello prevalente per la maggior parte dei singoli presi separatamente? Vale la pena di pensarci, specialmente se si parla di gruppi che hanno una propria “identità” collettiva ben definita.

b) I meccanismi di interazione dell’insegnamento

Possiamo affermare con certezza che il s.r. dominante individuale sia completamente esogeno ed immutabile (come il colore degli occhi, ad esempio)?
E’ probabilmente vero che l’allenatore non è un “educatore” però sono convinto che l’allenatore possa considerarsi un "istruttore": qualcosa di più di un "comunicatore". Per questo forse può (e deve) anche contribuire a sviluppare strategie di apprendimento efficaci nella persona che sta formando. La mia idea è che probabilmente si può anche sviluppare e modificare la combinazione dei s.r. attraverso la proposta e lo stimolo dell’istruttore.

Inoltre chi insegna (sia un maestro o un allenatore) non solo "comunica" ma trasmette una sua figura: da questa dipende in larga misura il successo nell'apprendimento. Le tecniche di mirroring (anche di linguaggio), a mio parere, funzionano fino ad un certo punto in questo contesto: l'empatia cresce in maniera molto più marcata quando l'istruttore è in grado di rappresentare un "modello" (e in questo entra anche il discorso del carisma, della coerenza, della personalità) che non passa necessariamente per il rispecchiamento e la comunanza di linguaggio. Intendiamoci, questi restano comunque strumenti di comunicazione importantissimi ma a volte, se ricercati in maniera sistematica e “ossessiva”, potrebbero addirittura sortire l’effetto opposto in termini di apprendimento.

c) L’ascolto attivo

Non si deve trascurare l'attenzione e l'ascolto attivo di chi apprende. Anche questo non si esaurisce, secondo me, nella coincidenza di linguaggio ed è legato anche al discorso della “figura” di chi insegna di cui dicevo prima.

Tralasciando il dibattito sulla scarsa evidenza empirica nella letteratura scientifica della coincidenza tra aspetti comportamentali e s.r. dominante, tipica della Programmazione Neuro Linguistica (come nel caso del movimento degli occhi..) e che forse giustificherebbe quanto sto dicendo anche sulla base di un'azione di insegnamento che avviene necessariamente in un contesto di incertezza sulle caratteristiche di apprendimento dell'allievo, io credo che in ogni caso ognuno di noi apprenda attraverso TUTTI i s.r. e quello dominante sia semplicemente quello del quale siamo “più coscienti”.

Utilizzare in maniera appropriata “linguaggi” diversi può in molte circostanze, a mio avviso, risultare più stimolante ed istruttivo piuttosto che appiattire la comunicazione ad un unico “stile” anche se perfettamente allineato con il principale metodo di acquisizione delle informazioni che un allievo utilizza. E questo, nella mia esperienza, lo riscontro anche a livello individuale.

Faccio un parallelo sicuramente azzardato, ma che può far pensare.

Nella letteratura economica esistono numerosissimi studi che dimostrano come l’utilità dei consumatori nell’acquisto di un bene sia determinata non solo dalla preferenza e dall’utilità assegnata a quello specifico bene ma anche dalla cosiddetta “preference for variety”. I consumatori che scelgono comunque quel bene, sono più contenti (e vanno più volentieri a comprare) se lo scelgono in un negozio dove ci sono altri 50 possibili sostituti piuttosto che in un negozio dove c’è solo quello, a parità di altre condizioni. Chiaramente anche in questo c’è un limite (dare troppe alternative è come darne troppo poche). Teniamo presente che nel caso della comunicazione stiamo parlando di un bene non “primario”: grazie al cielo chi ascolta un messaggio (come chi legge questo noiosissimo post..) ha sempre la sacrosanta opzione di non prestare attenzione…

Vi auguro Buona Pasqua!

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