mercoledì 30 maggio 2007

Sullo "stacco" nelle giovanili femminili.

Domenica a Cabras, durante un'interessante lezione di Marco Mencarelli, si è parlato, tra l'altro, di tempi di contatto del piede, forza e reattività nel salto. Un concetto che ha espresso mi ha colpito molto, anche perchè ho riscontrato spesso in palestra situazioni simili. Vorrei esporlo, così mi dite cosa ne pensate.

Si parlava della fascia U14 femminile (12-14 anni) e il nostro relatore ci ha fatto notare che a quell'età, in particolare nelle ragazze, la forza è praticamente pari a zero. Perciò se noi chiediamo ad una atleta di saltare al massimo lei tenderà ad usare l'unico "mezzo" che possiede per ottenere il risultato, e cioè la reattività del sistema caviglia-piede. Io in palestra questo l'ho sempre riscontrato. Chi ha poca forza muscolare a disposizione tende d'istinto ad arrivare allo stacco con le punte dei piedi, spesso senza poggiare i talloni e piegando relativamente poco il ginocchio, riducendo quindi al minimo il tempo di contatto al suolo e sfruttando al massimo la rapidità nell'azione del piede.

Se decido di correggere il movimento, per esempio chiedendo all'atleta di fare movimenti del tipo "tacco-punta" (vedi figura), di "caricare" maggiormente aumentando l'angolo al ginocchio, eccetera, sto praticamente chiedendo alla ragazza di ridurre l'uso reattivo delle gambe a favore della componente forza, col risultato che l'atleta si "pianta" al termine della rincorsa, saltando meno di prima perchè la sua forza non è ancora sviluppata abbastanza per consentirgli di andare in alto.

Il consiglio di Marco è stato quindi di non modificare il movimento di stacco, ma di richiedere all'atleta solo di saltare al massimo, accertandosi però che i passi della rincorsa siano nella sequenza corretta.

A questo punto mi è sorto un dubbio: Ma se io non modifico il movimento di stacco, quando queste atlete tra qualche anno inizieraranno a sviluppare la forza, dovrò agire sul movimento con qualche modifica?

Gli ho posto proprio questa domanda, e lui mi ha risposto che nella sua esperienza non c'è solitamente bisogno di correzioni specifiche in età sucessive, ma che l'atleta tende a modificare il movimento autonomamente quando inizia ad avere a disposizione maggiore forza muscolare, affiancandola alla reattività e sfruttando quindi entrambe secondo le proprie caratteristiche.

A noi allenatori rimane il compito di essere supervisori attenti di questo processo.

giovedì 24 maggio 2007

Due parole sulla "fast".

Sabato conversavo con un collega allenatore riguardo alle differenze tra le tecniche d'attacco nel maschile e nel femminile. Ovviamente il discorso è finito sull'attacco con stacco ad un piede, forse la più evidente tra le tante variazioni tecniche riscontrabili, visto che nel maschile è praticamente inesitente.
Mi sono tra l'altro accorto che spesso chi lavora con i maschi è praticamente digiuno anche dei concetti base di questa tecnica, perciò ho pensato di spenderci sù due parole, visto che mi è capitano spesso di dover lavorare in palestra, anche partendo da zero, sullo sviluppo di questo tipo di colpo.

Intanto un accenno alle tecniche. In genere gli attacchi portati da dietro il palleggiatore con stacco a un piede sono di tre tipi: uno appena dietro l'alzatore, uno ad un metro e mezzo circa dal palleggiatore e uno molto vicino all'asta.
Tutti sono considerati come attacchi di primo tempo, anche se il tempo tra il tocco del palleggiatore e lo stacco dell'attaccante è ovviamente diverso. Nel primo caso, quello subito dietro l'alzatore (spesso chiamato "2"), l'azione è molto rapida e viene solitamente eseguita con un tempo lievemente ritardato rispetto al primo tempo davanti al palleggiatore. Il secondo tipo (chiamato abitualmente "B") è un poco più ritardato ma praticamente il tempo è lo stesso mentre il terzo, quello vicino all'asta che ormai tutti chiamano “fast”, può avere tempi diversi, a seconda delle caratteristiche della palleggiatrice e della schiacciatrice. Spesso la rincorsa differisce molto tra le giocatrici, ma il movimento conclusivo dell’attaccante ricorda molto da vicino quello del terzo tempo nel basket.

I problemi principali che un allenatore deve affrontare nell'insegnare a un attaccante questi tipi di attacco sono molti, ma io ho riscontrato che tre di questi sono molto importanti per la riuscita dell'azione, e precisamente:
- La spinta nel salto è fortemente asimetrica e principalmente supportata dalla gamba sinistra, il che inizialmente implica non poche difficoltà per chi abitualmente stacca "destro-sinistro" (cioè quasi tutti, visto che questo tipo di attacco è praticamente precluso ai mancini).
- Il braccio deve essere sempre alto e pronto a colpire la palla, in particolare per la "2" e la" B". Ciò implica un rapido "caricamento" del braccio e comunque il gomito tenuto in alto.
- In particolare la ricaduta deve essere molto curata, sia perchè comporta forti componenti di torsione a carico delle articolazioni della gamba, sia perchè deve consentire al giocatore di rientrare nella sua posizione di muro il più rapidamente possibile.

Inoltre, il palleggiatore ha un compito molto difficile, cioè quello di "nascondere" al centrale avversario la propria scelta e contemporaneamente garantire la corretta traiettoria e velocità dell'alzata. In questo modo si può sfruttare il più grande vantaggio di questi tipi di attacchi: il poter colpire su uno tratto di rete molto ampio, non consentendo quindi al muro di leggere preventivamente il probabile punto del colpo.

Questi colpi hanno creato degli sviluppi tattici molto interessanti nei sistemi di attacco, e parallelamente lo sviluppo di una adeguata tattica muro-difesa. Ma forse è meglio proseguire il discorso in un prossimo post. Ciao.

lunedì 21 maggio 2007

Succede anche in serie A.

Non so se avete seguito le vicende che hanno caratterizzato l’ultima giornata del campionato di serie A1 femminile. In particolare mi riferisco alla gara Despar Perugia-Asystel Novara; In effetti credo che pochi abbiano seguito la vicenda, anche perché il volley femminile ha la sfortuna di essere messo in onda dalla RAI, che in quanto a copertura televisiva del volley è da terzo mondo. Comunque riassumo ciò che è successo:

l’Asystel conquista la prima posizione matematica nella regular season alla penultima giornata, va quindi a giocare l’ultima gara a Perugia con le ragazze delle giovanili, regalando una facile vittoria alla squadra di casa. Tra l’altro preannuncia in precedenza le sue intenzioni, con grande disappunto della squadra perugina e di altre società interessate al risultato in quanto in corsa per il piazzamento nei play-off.

La cosa mi fa sorridere, perché queste vicende accadono praticamente sempre negli altri campionati, dove certo non ci sono i problemi pecuniari di scommesse e di incassi della serie A, ma dove comunque le persone e le società investono tempo e denaro con la stessa passione.

Bèh, sorrido perché vedere in serie A quel classico, triste teatrino che accade solitamente in questi casi, con comunicati deliranti sulla più o meno sportività di società e dirigenti, minacce di squalifiche, deferimenti e chi più ne ha più ne metta, mi procura un sottile piacere, forse perché ci fa sembrare quel mondo un po’ più vicino al nostro volley di tutti i giorni.

Per capire i toni della vicenda… leggete qui il comunicato del Perugia. E pensate che ora si stanno scontrando nei play-off!
A presto.

lunedì 14 maggio 2007

Il compromesso Velocità/Precisione

Più o meno tutti abbiamo imparato, col tempo e con l’esperienza, che aumentando la velocità di un movimento cala la precisione dello stesso. Però probabilmente non tutti sanno che questo fenomeno è stato molto studiato in passato e continua ad essere argomento di discussione anche ai giorni nostri. Il pioniere di questi studi è stato sicuramente lo psicologo statunitense Paul Fitts, il quale già negli anni ’50 aveva elaborato una legge, nota proprio come Legge di Fitts(1), che lega in scala logaritmica l’ampiezza di un movimento, la sua precisione ed il tempo del movimento stesso.
In pratica è stato dimostrato che quando viene richiesto un movimento rapido, a parità di ampiezza, la precisione diminuisce esponenzialmente.
Questa nozione di “compromesso” tra velocità e precisione è stata successivamente molto studiata e applicata ad ambiti diversi, ma nonostante siano stati introdotti ad oggi modelli molto più accurati(2), basati su test sperimentali, rimangono parecchie domande senza risposta. In particolare non si è ancora compreso totalmente perché il nostro sistema psicomotorio ci fa perdere accuratezza quando viene richiesta una maggiore velocità.

Rimane il fatto, ampiamente dimostrato sperimentalmente, che ciò avviene. In particolare, quando eseguiamo movimenti molto rapidi (meno di 0,2 secondi) come un attacco nel volley, un rovescio di tennis o una battuta nel baseball, la rapidità dell'azione non ci consente di correggere il movimento durante la sua esecuzione rispondendo agli stimoli sensoriali (feedback), perciò l’esecuzione del movimento è affidata quasi esclusivamente agli schemi motori che sono stati costruiti con l’allenamento e l’esperienza, cioè osservando il risultato del movimento fatto e cercando di applicare la correzione nella ripetizione successiva.

Perciò, quando si vuole “allenare” la precisione di un colpo che richiede anche potenza (cioè rapidità, in quanto a parità di lavoro la potenza aumenta al diminuire del tempo di esecuzione del lavoro stesso) è necessario ripetere molte volte il movimento, ma bisogna fare attenzione a lasciare il tempo all’atleta di osservare con calma il risultato dell’azione tra una ripetizione e l’altra, magari aiutandolo con qualche osservazione verbale.
E’ il caso tipico dell’allenamento dell’attacco “forte” nel volley. Ricordando quanto detto prima, credo che per ottenere una buona efficacia nell’allenamento di questo colpo sia importante mantenere un intervallo tra ogni colpo non troppo breve ma neanche troppo lungo, diciamo tra i 5 e i 12 secondi, a seconda delle capacità dell’atleta nel valutare il risultato di ciascun colpo fatto.

Chiudo lanciando un’idea per un prossimo post. Nel volley, come in altri sport, non esiste solo la precisione "spaziale", intesa come mandare la palla dove vogliamo. C’è anche un'altra forma di precisione… la precisione “temporale”, cioè il colpire la palla quando vogliamo… ed è altrettanto importante.

P.S. Aggiungo i riferimenti bibliografici agli studi citati nel testo, se qualcuno ha voglia di spulciarseli…
(1) Fitts (1954). “The information capacity of the human motor system in controlling the amplitude of movement”. Journal of Experimental Psycology, 47, 381-391.
(2) Meyer, Abrams, Kornblum, Wright & Smith (1988). “Optimally in human motor performance: Ideal control of rapid aimed movements”. Psychological Review, 95, 3, 340-370.

lunedì 7 maggio 2007

Gli obiettivi delle rappresentative.

Come sempre in questo periodo, dalle nostre parti si inizia a parlare (e spesso sparlare) delle squadre rappresentative giovanili. Gli argomenti sono sempre gli stessi: capacità dei selezionatori, qualità degli atleti, società che non mandano nessuno e società troppo "presenti", eccetera. Non ci tengo ad aggiungermi al coro dei critici (purtroppo tanti) o dei difensori (pochi, e quasi sempre interessati) dell'operato di tizio piuttosto che di caio. Mi farebbe piacere invece che qualcuno mi aiutasse a rispondere ad alcune domande. Per esempio mi chiedo da un pò di tempo: qual'è l'obiettivo del lavoro delle rappresentative? Chi le organizza si è mai posto il problema dell’uniformità della condivisione del target da raggiungere? Mi chiedo questo perchè sono convinto che i metodi per raggiungere obiettivi distinti siano talvolta molto diversi tra loro; anzi, molto più spesso, semplicemente incompatibili.
Sono cose ovvie, direte voi. E invece no. Per chiarire tento di mettere su un piano un po’ più pratico il mio ragionamento.

A) Mettiamo che l'obiettivo sia l'individuazione dei talenti. Sicuramente questo è ciò che si propone la federvolley nazionale. Ma ai nostri comitati provinciali e regionali che gliene viene in tasca? Credo ben poco, a parte un poco di popolarità nel caso che qualche atleta entri nel giro di un gruppo giovanile nazionale.
B) E Se invece l’obiettivo fosse ottenere un buon piazzamento ad un certo torneo (Regioni, Isole, Studentesco, ecc.)? In questo caso i ruoli si invertono. A Roma non interessa quasi nulla che una regione si piazzi prima di un'altra, ma per la FIPAV regionale, prestigio a parte, questo comporterebbe un ranking migliore e quindi di possibilità di contare di più a livello nazionale.
C) Forse c’è anche un altro obiettivo: migliorare la crescita dei nostri atleti con occasioni di incontro utili anche per noi allenatori. Però credo che anche se questo è effettivamente un utile e simpatico effetto collaterale delle rappresentative, non è certo per questo motivo che la federazione spende una barca di soldi in selezioni e piani altezza.

Se ragioniamo un po’ su quanto ho detto ci vuole poco a capire che se dipendesse dalla federazione nazionale (obiettivo A) si farebbero 4 o 5 raduni di selezione per individuare i migliori talenti e Amen. Se invece fosse la federvolley isolana a decidere (e soprattutto se avesse i soldi…) avrebbe già precettato i migliori atleti dalle società per farli allenare tantissimo insieme e vincere (obiettivo B) il più possibile oltre tirreno.
Rimarrebbe l’obiettivo C… già, questo è l’obiettivo degli atleti, delle società e degli allenatori. Purtroppo non delle federazioni, anche se sono convinto che, sull’onda del “politically correct”, dichiarerebbero il contrario.
In sostanza credo che la coda di polemiche che tutti gli anni le selezioni per le rappresentative si portano dietro, con i conseguenti e prevedibili scarsi risultati, siano soprattutto il frutto della diversità di obiettivi tra la federazione ed i pallavolisti e all’interno della federazione stessa. Se si è così distanti sul fine, come si può concordare sui mezzi?