lunedì 4 giugno 2007

Allenatore e Palleggiatore

Una delle cose che mi incuriosisce di più quando assisto da spettatore ad una partita di pallavolo, è soffermarmi sul rapporto Palleggiatore – Allenatore durante le fasi di gioco, e questo indipendentemente dal fatto che si tratti di match di alto livello (alla TV per intenderci) o di campionato giovanile o di divisione. Se ci pensiamo in effetti si tratta di un confronto tra due condottieri, uno che guida durante tutta la settimana e fino ad un istante prima del fischio d’inizio, un altro che conduce le danze per tutta la durata della partita. I più superficiali potrebbero liquidare banalmente l’argomento dicendo che il palleggiatore deve semplicemente riportare in campo le tattiche preparate in campo con l’allenatore e provate e riprovate tutta la settimana, e che l’allenatore deve lavorare “preventivamente” per dipanare tutti i dubbi e per far si che all’ingresso in campo il palleggiatore abbia sempre le idee chiarissime su cosa debba fare in ogni situazione (pensiamo alla serie A dove si effettuano una o due riunioni video alla settimana e dove a tavolino viene valutata analiticamente l’efficienza della propria squadra in ogni rotazione in funzione del tipo di attacco e del muro avversario); poi invece inizia la partita e ci si accorge che quasi mai è tutto così lineare e preventivabile e che quindi non per tutte le situazioni contingenti era stata studiata la adeguata “contromisura”.
A questo punto è interessante osservare come nelle varie squadre viene affrontata la situazione e soprattutto chi si assume l’onere di decidere cosa fare: ci sono allenatori che decidono di non intervenire sul gioco della propria squadra e lasciano al palleggiatore le scelte sul tipo di palla e sull’attaccante da servire (atteggiamento passivo); altri invece che durante i time-out danno delle indicazioni di massima su quello che sta succedendo in genere in funzione degli avversari (con frasi tipo: “quel centrale avversario è lento negli spostamenti” oppure “quel laterale è scarso a muro”) e quindi indirettamente condizionano il palleggiatore nelle scelte (atteggiamento indirettamente attivo), oppure ancora ci sono allenatori che sistematicamente intervengono dando indicazioni precise sul tipo di gioco da fare (atteggiamento attivo).
E’ innegabile che questi diversi metodi di comportamento siano funzione inoltre sia del tipo di squadra che si trova a gestire (presumibilmente l’atteggiamento passivo sarà più probabile in gruppi seniores con palleggiatori esperti, mentre quello attivo sarà tipico delle squadre giovani con giocatori inesperti) sia della situazione di punteggio durante la partita (è più probabile un coinvolgimento diretto dell’allenatore sul gioco da fare dal 20 in poi, piuttosto che ad inizio set).
Io penso che per avere i risultati migliori ogni allenatore debba riuscire nel non semplice compito di modulare i vari atteggiamenti in funzione alle diverse situazione di punteggio e del tipo di gruppo che si segue, senza eccedere in un senso o nell’altro perché nel caso di atteggiamento sistematicamente passivo non si creano i presupposti per una crescita del palleggiatore che si attua mediante rinforzi costruttivi sulle scelte effettuate, nel caso opposto invece, scaricandolo sempre sulla responsabilità della scelta, non lo si abitua al ragionamento critico durante la gara. E voi, che tipo di atteggiamento preferite durante la gara con il vostro alzatore??

3 commenti:

L@z ha detto...

Bell'argomento Alberto, molto interessante. Non credo però che ci sia una distinzione molto netta tra atteggiamento attivo o passivo, per usare i tuoi stessi termini. Probabilmente il modo di comportarsi dipende molto dal feeling che si instaura tra allenatore e palleggiatore durante la stagione. In generale io odio dare direttive al palleggiatore durante la gara, però, soprattutto a inizio stagione, mi ritrovo spesso a consigliarli delle scelte;
durante l'anno poi tendiamo ad avvicinarci, e nelle ultime gare non ho solitamente più bisogno di dirgli niente. Montali una volta ha detto: "non vorrei mai chiamare il time-out durante il match perché ciò vorrebbe dire non aver preparato bene la squadra". Io preferisco intervenire prima della partita, mentre preparo la gara, fornendo delle "linee guida" al palleggiatore che devono però prevedere anche le eventuali contromosse, da attuare nel caso che gli avversari non giochino come avevamo pensato. L'ideale è che allenatore e palleggiatore si incontrino al più presto su dei compromessi comuni alle loro idee e convinzioni, in modo da costruire un modello di attacco condiviso da entrambi. Se si riesce a fare ciò, si è già compiuto un grosso passo nella costruzione di una squadra vincente. Ciao

Daco ha detto...

Credo che sia sbagliato comportarsi in 2 modi, decidere al posto del palleggiatore qualsiasi palla e lasciare le scelte totalmente sulle spalle del palleggiatore. Nel primo caso il palleggiatore si sentirà una specie di vigile urbano che regola il traffico dei palloni e nel secondo caso si sentirà invece tutto il peso delle scelte e dovrà controllare mille cose con il rischio di dimenticarne qualcuna. Credo che questi 2 atteggiamenti siano dannosi per il rapporto tecnico palleggiatore, in entrambi manca una cosa importantissima che è la comunicazione, che deve esserci, senza sfociare in una lite durante la partita ma in una costruzione dell’idea di gioco. Con le palleggiatrici ho sempre cercato di comportarmi in questo modo, le aiuto se vedo che sono in difficoltà, le correggo se fanno secondo me uno sbaglio, però cerco di evitare che siano dei burattini, il palleggiatore deve essere il cervello della squadra e io devo cercare di spiegarle come pensare e cosa guardare, poi con il tempo ci sarà sempre meno bisogno di interventi con la crescita di esperienza. Ciao

Unknown ha detto...

sono molto d'accordo con il commento di Daco.
Il palleggiatore deve essere autonomo, Ma pur sempre nel rispetto di quello che gli abbiamo insegnato.
Aggiungerei un solo particolare per ampliare la sua riflessione.
La personalità del nostro palleggiatore è la discriminante che ci costringerà comunque ad assumere un atteggiamento di maggiore o minore intervento nelle sue scelte e di maggiore o minore appoggio nei momenti 'caldi' della gara.
Ovviamente come sostiene Daco nel rispetto della sua autonomia.