giovedì 28 giugno 2007

Due promozioni in B2 femminile!

Un piccolo post per rilanciare la fantastica notizia apparsa oggi sul sito della FIPAV regionale sarda: L'anno prossimo la Sardegna avrà 2 promozioni dirette dalla serie C alla B2 femminile! Del maschile non si parla, ma mi auguro che a breve ci siano buone notizie anche per quel settore. Complimenti alla Federazione Sarda e a tutti coloro che si sono adoperati per ottenere questo successo. E pensare che appena due mesi fà ci era stato comunicata dal presidente regionale una notizia diametralmente opposta. Adesso noi tutti dobbiamo darci da fare per dimostrare di meritarci questo risultato.

mercoledì 27 giugno 2007

Ancora sulla "fast"...

Ho ricevuto una e-mail da un collega allenatore che mi chiedeva, tra le altre cose, come mai la fast non viene usata nel maschile. Gli rispondo pubblicamente così ne approfitto anche per aggiungere due parole sulla tattica della fast, di cui non ho parlato nel post che ho scritto qualche tempo fa.

Intanto, è giusto ricordare che non è proprio vero che nel maschile non esiste il primo tempo "dietro" con stacco a un piede. Ho visto personalmente sul satellite in TV un giocatore, mi pare fosse nel campionato francese, usarlo con regolarità ed efficacia. Però è vero anche che è rarissimo osservare questo tipo di attacco tra i maschi, e ciò secondo me è dovuto principalmente ad un paio di motivi molto precisi:

1) Il muro nel femminile è mediamente meno invadente e meno veloce negli spostamenti. Inoltre il muro maschile riesce, anche dopo aver eseguito il salto, a coprire efficacemente un zona di rete più ampia col l’adattamento della posizione delle braccia. Questo limita molto uno dei vantaggi della fast rispetto al primo tempo tradizionale, e cioè il poter colpire la palla discrezionalmente in un tratto di rete molto ampio, evitando così muro.

2) Nel maschile l’uso dell’attaccante di posto 1 dalla seconda linea è più efficace che nel femminile, quindi molto più sfruttato. Portare l’attacco degli attaccanti centrali verso la zona 2 con l’alzatore in prima linea (ricordo che la fast viene usata quasi sempre in queste rotazioni) implica un vantaggio per il muro avversario in termini di pre-piazzamento sull’attacco proveniente da zona 1/2.

Sono sicuro che diversi allenatori del settore maschile hanno sperimentato a vari livelli l’uso della fast, ma evidentemente i risultati in termini di efficacia non sono stati soddisfacenti, o per lo meno non è stata riscontrata l’efficacia espressa da altre combinazioni d’attacco. Sarebbe interessante conoscere i risultati di questi test.

martedì 19 giugno 2007

La specializzazione nei settori giovanili.

Domenica ho avuto l'occasione di sentir parlare Velasco. Bella chiaccherata, ha toccato molti argomenti e dato spunti interessanti, come solo un uomo di grande esperienza come lui sa fare. Uno di questi spunti ha riguardato un problema molto dibattuto negli ultimi anni: Cosa insegnare nei settori giovanili? insegnamo un pò di tutto, dedicando però poco tempo ad ogni gesto, oppure ci concentriamo solo su alcune azioni, cercando di insegnargli poche cose, ma bene?

Ovviamente Velasco ci ha spiegato la sua opinione, che volutamente non voglio riferirvi anche se la condivido, perchè il carisma del personaggio forse porterebbe a sposare il suo pensiero senza ragionarci un pò su. Il fatto è che quando alleniamo un settore giovanile, normalmente non abbiamo molto tempo a disposizione in palestra. Spesso è già tanto se abbiamo a disposizione 3 allenamenti da 90 minuti. Certo, possiamo far lavorare alcuni atleti anche con altri gruppi, ma pur essendo molto utile questo sistema spesso non ci consente di programmare in quel tempo un lavoro organico col resto degli allenamenti. Inoltre quasi mai è possibile farlo per tutti i ragazzi.

Perciò siamo costretti a fare delle scelte. Bella scoperta, ne facciamo continuamente direte voi. Ovviamente non si discute che a tutti i ragazzi si debbano insegnare i tocchi di base (palleggio, bagher, ecc.), ma per quanto riguarda determinate azioni "specializzabili", tipo ricezione, alzata, ecc. come ci comportiamo? Le scelte sono almeno due, con relativi vantaggi e svantaggi. Facciamo l'esempio dell'alzata:

1) Dedichiamo lo stesso tempo a tutti gli atleti. Facciamo cioè in modo che tutti i ragazzi si allenino e giochino a turno ad alzare al compagno, con gli stessi intervalli, anche in gara. In questo modo sposto la specializzazione dell'alzatore in tempi successivi, permettendo a tutti di provare le sensazioni e le difficoltà nell'alzare la palla. Nel contempo però la qualità del mio gioco sarà molto bassa, le alzate saranno mediamente molto fallose ed imprecise e di conseguenza sarà per tutti più difficile eseguire i colpi successivi (schiacciata e difesa).I tanti errori rischiano di non dare continuità al gioco, con il probabile effetto di ridurre il divertimento.

2) Facciamo alzare di più a chi ci sembra più dotato, differenziando il lavoro sia in allenamento che in gara. In questa maniera riusciamo a lavorare maggiormente sulle doti naturali di ciascuno e miglioriamo la qualità delle alzate e del nostro gioco, con maggiore soddisfazione dei ragazzi. Nel contempo però limitiamo la possibilità ad alcuni di provare ad alzare, rinviando a tempi successivi l'insegnamento dell'alzata se si vedrà la possibilità di farli giocare come alzatori.

Stesso discorso si può fare per la ricezione e per altre azioni del volley. Credo che con entrambi i metodi si possano ottenere dei risultati, ma quello che probabilmente abbiamo sempre trascurato è l'impatto che questa nostra scelta, allenare un poco di tutto o poche cose ma bene, avrà nella testa dei ragazzi e nella loro percezione della pallavolo.

lunedì 11 giugno 2007

Alcune differenze tra A1 e B2

Mi è ricapitato tra le mani uno studio del 2004 sul maschile fatto da Caramagno, Franzò e Prefetto di cui avevamo discusso in un corso ad Alberobello l'anno scorso. E' un interessante analisi del modello di prestazione per la serie B2, con diversi paragoni alla serie A1. Voglio darvi alcuni dati che scaturiscono da questo studio perchè li trovo utili per capire come cambiano i modelli di prestazione al variare la categoria.

Un primo dato che salta agli occhi è la durata media delle fasi attive (palla in gioco) e passive. In serie A1 infatti la fase attiva dura in media 5,2", la fase passiva 13,8". E in B2? la fase attiva 7,2" (+38%) e la passiva 17,1" (+24%). Ciò comporta una durata media del set pari al 28,5% in più (18,5' in B2, 14,4' in A1).

La domanda è: questi dati influiscono sui metodi e i tempi dell'allenamento? A mio parere si, ma in che misura credo che sia una variabile soggettiva per ciascun allenatore. In ogni caso è evidente che al calare del livello aumenta l'impegno del metabolismo aerobico "intermittente".

Un altro dato che si evidenzia è il numero di salti medi per ruolo. in B2, con una media di 218 azioni per gara, il giocatore che salta di più è il centrale, che fà 112 salti (0,52 per azione), contro i 90 dell'alzatore, i 76 dell'opposto e i 70 del posto 4. Bella scoperta, direte voi, lo sanno anche i bambini che il centrale è quello che salta di più!
E invece non è così ovvio. Sapete chi è che salta di più in A1? Vi sembrerà strano (però se ci pensate bene, neanche più di tanto), ma è il palleggiatore, con 136 salti su 221 azioni di gioco (0,64 salti per azione!), segue il centrale con 97 salti, poi l'opposto con 88 e infine lo schiacciatore "di mano" con 65.

Se devo dare un mio parere su questi dati, mi viene da dire che il palleggiatore, che salta moltissimo anche in B2 (più degli schiacciatori), spesso non viene allenato abbastanza su questo aspetto. Vi siete mai chiesti, durante l'allenamento, quanto alleniamo il palleggiatore al salto? più o meno degli schiacciatori?

Ho volutamente semplificato il ragionamento, limitandomi al salto, ma se teniamo conto delle penetrazioni continue e degli spostamenti a cui è obbligato un palleggiatore, mi viene logico pensare che sia il ruolo che ha bisogno di un maggior lavoro aerobico (intermittente) rispetto agli altri. Lo sò che i sacri testi dicono che la pallavolo è uno sport prevalentemente anaerobico... però forse diamo troppe cose per scontate.

lunedì 4 giugno 2007

Allenatore e Palleggiatore

Una delle cose che mi incuriosisce di più quando assisto da spettatore ad una partita di pallavolo, è soffermarmi sul rapporto Palleggiatore – Allenatore durante le fasi di gioco, e questo indipendentemente dal fatto che si tratti di match di alto livello (alla TV per intenderci) o di campionato giovanile o di divisione. Se ci pensiamo in effetti si tratta di un confronto tra due condottieri, uno che guida durante tutta la settimana e fino ad un istante prima del fischio d’inizio, un altro che conduce le danze per tutta la durata della partita. I più superficiali potrebbero liquidare banalmente l’argomento dicendo che il palleggiatore deve semplicemente riportare in campo le tattiche preparate in campo con l’allenatore e provate e riprovate tutta la settimana, e che l’allenatore deve lavorare “preventivamente” per dipanare tutti i dubbi e per far si che all’ingresso in campo il palleggiatore abbia sempre le idee chiarissime su cosa debba fare in ogni situazione (pensiamo alla serie A dove si effettuano una o due riunioni video alla settimana e dove a tavolino viene valutata analiticamente l’efficienza della propria squadra in ogni rotazione in funzione del tipo di attacco e del muro avversario); poi invece inizia la partita e ci si accorge che quasi mai è tutto così lineare e preventivabile e che quindi non per tutte le situazioni contingenti era stata studiata la adeguata “contromisura”.
A questo punto è interessante osservare come nelle varie squadre viene affrontata la situazione e soprattutto chi si assume l’onere di decidere cosa fare: ci sono allenatori che decidono di non intervenire sul gioco della propria squadra e lasciano al palleggiatore le scelte sul tipo di palla e sull’attaccante da servire (atteggiamento passivo); altri invece che durante i time-out danno delle indicazioni di massima su quello che sta succedendo in genere in funzione degli avversari (con frasi tipo: “quel centrale avversario è lento negli spostamenti” oppure “quel laterale è scarso a muro”) e quindi indirettamente condizionano il palleggiatore nelle scelte (atteggiamento indirettamente attivo), oppure ancora ci sono allenatori che sistematicamente intervengono dando indicazioni precise sul tipo di gioco da fare (atteggiamento attivo).
E’ innegabile che questi diversi metodi di comportamento siano funzione inoltre sia del tipo di squadra che si trova a gestire (presumibilmente l’atteggiamento passivo sarà più probabile in gruppi seniores con palleggiatori esperti, mentre quello attivo sarà tipico delle squadre giovani con giocatori inesperti) sia della situazione di punteggio durante la partita (è più probabile un coinvolgimento diretto dell’allenatore sul gioco da fare dal 20 in poi, piuttosto che ad inizio set).
Io penso che per avere i risultati migliori ogni allenatore debba riuscire nel non semplice compito di modulare i vari atteggiamenti in funzione alle diverse situazione di punteggio e del tipo di gruppo che si segue, senza eccedere in un senso o nell’altro perché nel caso di atteggiamento sistematicamente passivo non si creano i presupposti per una crescita del palleggiatore che si attua mediante rinforzi costruttivi sulle scelte effettuate, nel caso opposto invece, scaricandolo sempre sulla responsabilità della scelta, non lo si abitua al ragionamento critico durante la gara. E voi, che tipo di atteggiamento preferite durante la gara con il vostro alzatore??