Genitori e figli nello sport.
Sono rimasto tristemente impressionato da uno spiacevole episodio di cronaca, avvenuto ieri ai mondiali di nuoto in corso a Melbourne, e rilanciato da diverse reti TV: Un allenatore-padre ha aggredito davanti alle telecamere la sua atleta-figlia, rea di non aver dato il meglio di sè in vasca (clicccando qui il servizio su youtube).
L'episodio si commenta e si condanna da sè, ma mi ha indotto a fare qualche considerazione sul rapporto genitori-figli nello sport.
A mio parere, uno dei motivi principali per cui lo sport è un attività fondamentale nel periodo adolescenziale (e non solo) consiste nel fatto che esso è l'unica attività ludica che impone disciplina, costanza, rispetto delle regole e dell'autorità. In pratica il giovane, che anela a sentirsi "bravo" agli occhi dei suoi compagni e di chi gli sta intorno, apprende pian piano che per ottenere ciò deve rispettare delle regole e allenarsi con assiduità. Il tutto, però, divertendosi.
Lo sport e, di conseguenza, le prestazioni sportive , non possono essere frutto di imposizioni violente o comunque coercitive, così come i risultati sportivi non possono essere ottenuti senza qualche rinuncia e sacrificio. Il giusto, come sempre, sta nel mezzo.
Se questi aspetti valgono per noi allenatori, che vediamo i nostri ragazzi solo qualche ora alla settimana, a maggior ragione diventano importantissimi nell'ambito famigliare in cui essi vivono.
Noi allenatori non siamo educatori, e mai e poi mai possiamo illuderci di esserlo; nessun genitore ci porta il figlio in palestra per educarlo al posto suo. Quello che un genitore chiede allo sport, e quindi il vero motivo per cui ci affida suo figlio, è la speranza che lo sport aiuti lo sviluppo delle qualità fisiche e delle attitudini sociali del proprio ragazzo. Certo che è difficile, quando si riscontra nell'atleta un aspetto della sua personalità che noi riteniamo palesemente sbagliato, non intervenire. Ma prima di farlo bisogna chiedersi come la famiglia valuta quell'atteggiamento e, possibilmente, consultarsi con i genitori stessi se riteniamo necessario fare qualcosa.
Voglio dire che in ogni caso, anche se noi allenatori spesso biasimiamo (quasi sempre a ragione) l'atteggiamento in palestra di certi genitori, non possiamo pensare di intervenire sugli aspetti comportamentali dei ragazzi escludendo i loro genitori. Perciò, se non vogliamo perdere gli atleti, dobbiamo cercare di intervenire anche sul loro nucleo famigliare.
Purtroppo però, non sempre questo è possibile.