venerdì 13 giugno 2008

Milano e Roma rinunciano alla A1

L'undici giugno la Legavolley ha ricevuto dalle società le domande di ammissione ai campionati 2008/2009 di Serie A e A2. Dopo la già nota rinuncia della Sparkling Milano, in serie A1 non si iscrive anche il Roma Volley e in A2 lo Stilcasa Volley Taviano.

Che dire? Il volley non è storicamente mai riuscito a sfondare nei grandi centri, dove la domenica le alternative al palazzetto sono tante. Però la cosa che mi preoccupa di più è che sembra sempre più difficile per le società, anche per quelle più grandi ed "organizzate", far fronte agli oneri della partecipazione ai campionati.
E' di poco tempo fà anche la conferma che i campionati di B1 maschile e B2 femminile saranno a 16 squadre anziché a 14 e che inizieranno un mese prima del solito, il 20 settembre.

Non sò, ma ho l'impressione che anche questo si tradurrà in ulteriori oneri organizzativi ed economici, che probabilmente sfoceranno in un aumento delle rinunce negli anni a venire in questi campionati.
Penso, come ho già detto più volte, che le società sportive siano in grossa difficoltà a tutti i livelli, in particolare nel settore maschile. Credo inoltre che uno sport come il nostro non può sopravvivere se viene meno una rete diffusa sul territorio di piccole società, che negli anni ci ha portato hai vertici mondiali.

Speriamo almeno che queste rinunce, ulteriori segnali dei problemi suddetti, portino ad una attenta valutazione della situazione e dei rischi che, quantomeno nel settore maschile, il nostro sport sta correndo.

mercoledì 28 maggio 2008

Dopo Italia Spagna

Sono andato a vedere la partita Italia – Spagna e la cosa più bella era la gente, tantissime persone amanti della pallavolo in un vero e proprio forno qual è il palazzetto a maggio, contente di vedere un’amichevole. Io sono andato con uno spirito un po’ particolare, perché pensavo a quando avremmo di nuovo la possibilità di vedere la pallavolo di alto livello in Sardegna visto che il Cagliari non è più in serie A (in questi casi sai che sei retrocesso e non sai chi e quando riuscirà a tornare a quei livelli).

Un allenatore che era venuto qualche anno fa a giocare contro il Cagliari di Fracascia diceva quanto secondo lui era importante avere una squadra in serie A e che avendo risorse maggiori ci si poteva permettere di avere dei settori giovanili di livello, pagare allenatori bravi per allenare una giovanile e quanto l’indotto di conoscenze di esperienze poteva arricchire tutto l’ambiente pallavolistico di quella zona. Io non so se questo è avvenuto con Cagliari ma magari è quello che succede in altre zone d’Italia. Di sicuro un circolo virtuoso si può attivare se vengono investite risorse e se i metodi di lavoro vengono appresi anche da società più piccole permettendo una crescita qualitativa di allenatori dirigenti e giocatori e anche quantitativa grazie all’attenzione di tv e giornali.

Quanto ci sarebbe bisogno di una società capace di fare da traino, capace di investire e capace di sviluppare un circolo virtuoso di crescita? Credo che ne avremmo proprio bisogno, ma per avere una struttura che permetta questo ci vogliono soldi e solo una società grossa con sponsor pesanti potrebbe far questo.
Per essere un po’ ottimisti bisogna dire che qualche società sta lavorando bene, attenta e cercando sempre di migliorarsi qualitativamente. Però sono poche, mancano i soldi forse.
Avere la nazionale l’anno che la Sardegna perde la serie A, strana e triste coincidenza.

mercoledì 9 aprile 2008

Il rinforzo: istruzioni per l'uso

Leggevo proprio ieri un interessante articolo di Cei sull'uso del rinforzo nello sport. Ho trovato molto interessanti alcuni concetti che esprime, in particolare su quando usare il rinforzo e su cosa applicarlo... Scusate, ogni tanto dimentico che non tutti quelli che mi leggono sono allenatori. Ricopio la definizione di rinforzo fornita dall'autore: In psicologia per rinforzo s'intende un "qualsiasi evento suscettibile di aumentare la probabilità di emissione di una risposta". I rinforzi possono essere positivi o negativi a seconda che tendano a incoraggiare o inibire un specifico comportamento, pensiero o sentimento. Per fare alcuni esempi, un semplice "bravo", un occhiataccia, un urlo, un premio o una punizione possono essere considerati dei "rinforzi". Tra le cose che mi hanno fatto pensare, riporto testualmente questi tre punti:

"1) Rinforzare la prestazione e non solo il risultato. Ogni atleta desidera essere rinforzato per la qualità della sua prestazione più che per la vittoria. Talvolta, invece, l'allenatore è più preoccupato a vincere o a non perdere un incontro piuttosto che essere interessato alla prestazione dei suoi atleti. Un comportamento esasperato in questa direzione conduce gli atleti a pensare che l'allenatore non è interessato a loro ma solo alla vittoria.
2 ) Rinforzare gli atleti per l'impegno e non solo per il loro successo. Per imparare nuove abilita o migliorare quelle già apprese bisogna fornire il massimo dell'impegno consci che si commetteranno anche degli errori e che solo continuando in questo modo la prestazione migliorerà. Quando l'atleta sa che l'allenatore richiede il massimo dal suo impegno, e che per questo viene rinforzato non avrà paura di provare e riprovare. Al contrario, se si aspetta di venire premiato solo in base al risultato di una prestazione e possibile che abbia paura di sbagliare pensando alle conseguenze negativo di un insuccesso. Comportandosi in questo modo l'allenatore favorisce l'insorgere dell'ansia e dell'insicurezza nei suoi atleti, che potrebbero anche ridurre il loro impegno, concentrandolo solo sulle abilità che padroneggiano con successo.
3) Rinforzare i piccoli miglioramenti e non solo il raggiungimento di grandi obiettivi. L'impegno e il miglioramento vanno rinforzati con continuità. Ogni atteggiamento o comportamento dell'allenatore nei riguardi di ciò che avviene sul campo o in palestra funziona da rinforzo per l'atleta. È bene, quindi, essere consapevoli del proprio modo di stare in relazione con gli atleti, servendosi in modo continuato e non saltuario delle proprie reazioni per rinforzare e incoraggiando i comportamenti ritenuti positivi ed efficaci per
l'attività svolta."


Quante volte mi sono comportato così? E quante volte ancora oggi faccio questi errori? Troppo spesso noi allenatori siamo più interessati al vincere o al perdere un punto, una gara o un campionato, piuttosto che premiare la qualità della prestazione. Premiamo gli atleti che raggiungono gli obiettivi posti, ma raramente lodiamo l'impegno se l'obiettivo non viene raggiunto.

Questo articolo mi ha dato da pensare... per chi vuole leggerlo tutto, lo trovate integralmente qui. Ciao

venerdì 4 aprile 2008

Nazionale maschile a Cagliari?

Il 17 maggio la nazionale maschile dovrebbe giocare a Cagliari. Infatti, dopo quasi 15 anni di assenza visto che l'ultima apparizione nel capoluogo sardo degli azzurri risale al 19 giugno del lontano 1993 per la partita Italia-Korea, Cagliari ospiterà una gara amichevole contro la Spagna (campione d'Europa in carica), utile per la preparazione al torneo di qualificazione olimpica di Tokio che avrà inizio il 31 maggio.

Questo torneo rappresenterà l'ultima occasione per l'italvolley maschile di qualificarsi per le olimpiadi di Pechino. Perciò avremo un ottima occasione per vedere (e tifare) i nostri atleti impegnati contro una squadra di altissimo livello e per osservare il lavoro di Anastasi in vista (speriamo) delle prossime olimpiadi!

Quindi, a meno di smentite dell'ultim'ora, appuntamento obbligato al palazzetto di Cagliari il 17 maggio. Un occasione da non perdere (prezzi del biglietto permettendo)!
Forza Azzurri!!!

lunedì 31 marzo 2008

Il centrale e il muro

Siamo penso tutti d'accordo sul fatto che, nel muro, il giocatore centrale ha un ruolo importante. Visto che ultimamente mi sono ripreso in mano un pò di materiale su questo fondamentale, voglio scrivere qualche riga sui compiti e sulle scelte che competono al centrale nella preparazione e nell'esecuzione del muro.

A mio parere, il primo compito che si deve assumere il centrale è l'osservazione del sistema di cambio palla avversario e la conseguentemente scelta del sistema tattico di muro da adottare. Questo vuol dire praticamente: individuare gli attaccanti avversari, in particolare quello principale; decidere se murare in lettura o ad opzione; comunicare le proprie scelte ai compagni a muro e in difesa. A questo punto, nel caso decida di leggere le scelte dell'alzatore, la priorità è ovviamente anticiparle più possibile in modo da arrivare a chiudere lo spazio con il compagno laterale, che ha il compito di decidere dove e quando saltare, spesso comunicandolo in precedenza ai compagni. Nel caso invece che opti per l'opzione dovrà concentrarsi sull'osservazione attenta dei movimenti preparatori del centrale avversario, in modo da poterlo anticipare e trovarsi nel posto e col tempo giusto per effettuare un buon muro. Talvolta, ad alti livelli, in caso di opzione il centrale può comunicare precedentemente alla difesa anche altre informazioni, come la zona del campo che intende chiudere con la sua opzione, l'orientamento del piano di rimbalzo, ecc.

Ovviamente le scelte del centrale devono essere inquadrate in un sistema battuta-muro-difesa più ampio e indicato dall'allenatore. Ma come allenare il nostro centro a fare queste scelte? Credo che gli esercizi globali siano molto adatti a replicare situazioni di gioco con tante variabili come il muro, magari preceduti da qualche seduta di esercizi sintetici in cui l'allenatore chiarisce le sue idee agli atleti, almeno nelle situazioni-tipo principali. Non dimentichiamo però che prima di introdurre discorsi evoluti sui sistemi di muro il nostri giocatori devono aver consolidato una buona tecnica sia nel muro individuale che collettivo.

martedì 18 marzo 2008

Le regole

Le recenti polemiche sulle reazioni dei giocatori di calcio al momento della sostituzione mi hanno fatto pensare alle regole, che altro non sarebbero che delle norme di comportamento che permettono di svolgere la nostra vita, in questo caso sportiva, senza che ci siano problemi. All’interno di una palestra ci sono tantissime norme non scritte, molte delle quali sono esterne all’ambito palestra, altre invece sono tipiche dello sport.

Le regole secondo me hanno un’ importanza fondamentale nella vita di una squadra, perché il seguirle o il non seguirle da un senso di appartenenza o un senso di estraneità a quel gruppo, questo perché diverse squadre hanno diverse regole, diverse società hanno diverse regole, quindi a seconda della provenienza degli atleti la prima cosa da fare è creare delle regole condivise.

Chi crea le regole è di solito l’allenatore e la società. Di solito i gruppi molto compatti con giocatori che giocano assieme da molto tempo hanno delle regole loro e in questo caso il cambiamento delle regole potrebbe risultare un processo lento. Una cosa che ho imparato è non dar per scontato che in tutte le palestre si seguano e si dia la stessa importanza alla stesse regole.

La cosa che piace di meno delle regole sono le sanzioni; le regole senza le sanzioni non hanno senso e qui la figura più importante è l’allenatore che, sotto la supervisione della società, può permettersi per quel che riguarda il campo di applicare delle sanzioni. Si può andare dal giro di campo simbolico fino a non convocare una giocatrice per un tot di partite o anche, se la violazione è molto grave, chiederne l’allontanamento. Si capisce che un allenatore che non può usare le sanzioni perché la società non gli permette di farlo è in un mare di guai. Il gruppo si accorge della debolezza e ognuno potrebbe provare a farsi regole sue e non rispettare quelle del gruppo.

Ci sono delle regole per le regole (passatemi il gioco di parole) secondo me che devono essere seguite per evitare spiacevoli equivoci:
· illustrare chiaramente quali sono le regole all’inizio dell’anno, cioè dare delle regole da subito e riuscire a farle rispettare è il primo passo per la formazione dell’idea di gruppo, cosi che tutti nel rispettare queste regole si sentiranno squadra
· applicare le regole a tutti i componenti del gruppo, infatti non si può pensare di fare differenze tra i giocatori, altrimenti non si forma un gruppo ma più gruppi ognuno con le sue regole, cosa secondo me molto rischiosa
· Spiegare e far capire a cosa serve quella regola, cioè far capire che non si segue le regola per semplice meccanica, ma se quella regola, applicandola, dà il risultato opposto rispetto a quello per cui è stata creata, non deve essere seguita e in quel particolare caso bisogna spiegare il perché non viene applicata (d'altronde non siamo burocrati ma allenatori quindi possiamo aggiustare e non imprigionarci nelle regole, ma comunque dobbiamo essere chiari con il gruppo)
· La regola che non è più utile necessita di essere eliminata, non ha senso infatti che una regola rimanga pur avendo perso la sua utilità (anche questo è meglio dirlo chiaramente, affinché non ci sia qualcuno che la segue e altri no)
· Il primo che deve seguire le regole e dare il buon esempio è l’allenatore seguito dalla dirigenza, infatti non posso chiedere a nessuno di rispettare una regola che io non seguo perché perdo di credibilità, sembrerebbe così che neanche io creda all’utilità della regola

Ci sono altri aspetti che sono molto interessanti ma che generano un discorso ancora più lungo. Per esempio il fatto che delle regole vadano ben oltre la figura che decide di inserirle, nel caso di un allenatore che inserisce una regola se il gruppo e la società la giudicano efficace, allora questa regola rimarrà in uso anche quando l’allenatore non ci sarà più. Oppure, altro aspetto interessante è come certe regole vengano acquisite dal giocatore nelle giovanili e rimangano in lui per tutta la carriera fino a trasferirle, magari dopo 20 anni, nel suo ruolo successivo di allenatore.

martedì 4 marzo 2008

Dove stiamo andando? Seconda puntata.

In un post precedente ho introdotto il discorso sulla crisi delle società sportive, in particolare quelle maschili. Continuo qui esprimendo una mia perplessità sui motivi di questa crisi. Da molte parti sento dire che le società chiudono perchè "non ci sono ragazzi", non c'è più fame di sport, i giovani hanno troppe alternative, e via di questo passo. Sarà pur vero, sicuramente i giovani sono oggi pieni di alternative, ma sto incontrando spesso genitori e ragazzi (non necessariamente giovanissimi) che, sapendo che io "bazzico" nel volley, mi chiedono dove possono iscrivere i loro figli o dove possono andare per iniziare a giocare loro stessi. Mi è capitato anche recentemente, una mia collega mi ha detto che il figlio stava giocando a scuola, gli piaceva e voleva iscriverlo in una società. Gli ho indicato qualche nome, ma mi sono reso conto che non c'erano società in cui il ragazzo potesse ragionevolmente arrivare coi propri mezzi da dove abita. Lei non lo poteva accompagnare, perciò... adesso il ragazzo si è iscritto a nuoto.
E' solo un esempio, ma io credo che il vero motivo per cui pochi giovani si avvicinano alla pallavolo è che le società maschili stanno chiudendo, e non il contrario. Ragazzi ce ne sono stati sempre pochi, ma se prima gli oneri finanziari e organizzativi per le società erano relativamente modesti, oggi fare un campionato è diventato molto più difficile. perciò se prima con 7-8 "ragazzi" dai 13 ai 40 anni magari qualche società non ci perdeva nel fare un campionato di prima divisione, oggi chi si iscrive sa già che probabilmente ci perderà... se non soldi, sicuramente in stress e tempo più che in passato.
La scelta del comitato provinciale di Cagliari di non far pagare le tasse gare in alcuni campionati può sicuramente incentivare l'iscrizione di nuove squadre nel breve periodo, ma non può essere protratta per sempre, anche per l'ingiusta discriminazione che si crea verso le società femminili. Un tentativo comprensibile, ma quando si riequipareranno le cose saremo punto e accapo.
Idee per tentare di risolvere la situazione? Qualcuna ce l'ho, sperando che non sia troppo tardi ed il processo non sia diventato irreversibile. Però, visto che ho ancora tanto da dire, ve le propongo alla prossima (e spero ultima) puntata :o)

martedì 12 febbraio 2008

Ancora cambiamenti in vista

Qualche settimana or sono si è sparsa la notizia, a quanto pare confermata anche da alcuni quotidiani sportivi nazionali, che la FIVB stia lavorando a nuove modifiche del regolamento, precisamente le seguenti:

1) Alzare la rete. Se ne parla da sempre, e per fortuna nessuno è mai stato così pazzo da farlo. Unico risultato sarebbe rendere il nostro sport ancora più legato alle caratteristiche fisiche e sempre meno avvicinabile dai più.
2) Arretrare la linea dei tre metri. Mah... non sò... ma non credo che gli effetti di questa modifica siano positivi per lo spettacolo e la varietà del gioco.
3) Vietare l'attacco "di secondo tocco". Non mi è molto chiara questa regola, ma da quello che ho capito si pensa di impedire di mandare la palla nell'altro campo sul secondo tocco (in particolare al palleggiatore) se questa si trova al di sopra della rete... secondo me una cavolata enorme.
4) Reintrodurre il fallo di net sulla battuta. Cavolo, una delle poche modifiche del regolamento che mi piaceva me la vogliono togliere? Riuscire a capire se la palla aveva sfiorato il nastro era una delle valutazioni più difficili per gli arbitri, quasi quanto il tocco del muro.

Non sono d'accordo a modificare ancora le regole. Soprattutto con variazioni così importanti. Credo che la pallavolo sia uno degli sport che ha subito più variazioni (sostanziali) del regolamento negli ultimi 20-30 anni. E questo non è un bene sia per chi vive il volley quotidianamente sia per gli spettatori occasionali.
Speriamo che siano solo voci infondate.

giovedì 31 gennaio 2008

Dove stiamo andando? prima puntata.

Ormai è quasi un anno che questo blog esiste, e ne approfitto per fare qualche ragionamento sugli ciò che sta accadendo nel volley (o in tutto lo sport?), perlomeno nella nostra Regione. Cosa è accaduto quest'anno? La prima notizia è l'eliminazione delle retrocessioni nei campionati maschili, sintomo inequivocabile di quanto è noto a tutti da tempo: il settore maschile è praticamente morto. La seconda è l'eliminazione delle tasse gare in alcune competizioni giovanili maschili, ulteriore conferma di quanto già detto. La terza è il tentativo di reintroduzione della Coppa Sardegna. Ho dei bei ricordi di questa manifestazione, l'ho giocata in passato... si giocava spesso contro squadre di categorie diverse, che non incontravi già in campionato, e soprattutto prima o dopo il campionato. Oggi non credo che abbia più senso, soprattutto concentrata in un giorno e con squadre della medesima categoria. Probabilmente rappresenterà solo un costoso obbligo in più per società, giocatori, e allenatori. Spero di sbagliarmi, ma ho l'impressione che sarà così.

Quello che mi stupisce è che non ci si rende conto che il problema non nasce solo dalla mancanza di atleti, ma anche, e secondo me soprattutto, dalla moria delle società sportive. Per le società diventa sempre più difficile fare pallavolo. Ci sono troppi oneri, Non solo fiscali ed economici, ma soprattutto organizzativi, che stanno portando i dirigenti ad abbandonare interi settori o addirittura a chiudere i battenti. Sto sentendo sempre più persone che vogliono fare pallavolo, ma non trovano società, o palestre, per farlo. Un tempo esistevano le polisportive, che facevano molti sport, sia maschili che femminili. Oggi è una fortuna se una società si dedica ad un solo sport di un solo settore, addirittura solo di alcune categorie.
Perchè sta succedendo questo? E soprattutto: cosa bisogna fare per invertire questa tendenza? Aspetto le vostre opinioni, sul blog o in privato. Io dirò le mia tra qualche giorno... sempre che interessi a qualcuno. Ciao e a presto

mercoledì 16 gennaio 2008

Quanto e dove imparo

Gli allenatori hanno diversi modi per migliorarsi e per imparare a diventare tali, in ordine temporale stilerei una classifica.
1) l’esperienza da giocatore;
2) il corso federale che dovrebbe anticipare il passaggio al ruolo di allenatore;
3) l’esperienza sul campo come aiuto allenatore a allenatori più esperti;
4) l’esperienza pratica personale;
5) tutti gli altri corsi federali e i vari aggiornamenti annuali ;
6) tutte le fonti di varia natura reperibili in rete o acquistare materiale tecnico come libri o dvd.
Tutte queste cose danno per ultimo il livello generale di conoscenza dell’allenatore, che è diverso da quanto saprà trasmettere. Da un punto di vista qualitativo è molto più difficile riuscire a mettere in ordine i vari fattori, perché probabilmente variano nel tempo e caso per caso; all’inizio la componente principale sarà l’esperienza da giocatore, ma con il passare degli anni crescerà molto il fattore pratico dell’allenare. Ognuno cerca di migliorarsi il prima possibile e sceglie strade diverse, sicuramente anche con risultati diversi. Immaginando una divisione temporale della vita di un allenatore in 3 fasi, possiamo pensare a i diversi fattori che si combinano; nella prima fase probabilmente ci sarà: 1. l’esperienza da giocatore 2. il corso federale 3. l’esperienza da aiuto allenatore, nella seconda fase 1. l’esperienza da aiuto allenatore 2. l’esperienza pratica personale 3. i corsi e gli aggiornamenti federali, infine nella terza fase della maturità 1. l’esperienza pratica personale 2. i corsi e gli aggiornamenti federali 3. tutte le fonti di varia natura reperibili in rete o acquistate.

Tutti questi fattori combinati danno il potenziale di crescita di un allenatore. Non sono entrato in un'ottica qualitativa dei vari fattori, quindi presumiamo che siano tutti dello stesso livello, altrimenti ovviamente non avrebbe avuto molto senso perché se i corsi federali sono scadenti oppure scadente è la mia esperienza da giocatore, farei bene a non prendere esempio. Se guardiamo questi fattori dall’ottica della provenienza, possiamo vedere che solo i corsi dipendono dalla federazione, altri da conoscenze umane e tecniche sviluppate prima di diventare allenatore e poi la componente principale che è l’esperienza diretta sviluppata nei vari anni. Quindi secondo me non si può imputare alla federazione demeriti o meriti degli allenatori, visto che il processo di formazione è per buona parte esterno alla federazione. Possiamo renderci conto come il percorso di crescita qualitativa dipenda dalle nostre scelte, ma noi che organizziamo la crescita degli atleti riusciamo a avere la stessa lucidità per organizzare la nostra o lasciamo che sia il caso a combinare i fattori?

venerdì 21 dicembre 2007

Sempre sugli atleti "maturi" (e Buon Natale)

Dopo aver letto l'ultimo post di Alberto Giorda sugli atleti "maturi", vorrei ampliare il discorso oltre l'aspetto tecnico, rimarcando alcuni altri aspetti che il lavorare con uno o più atleti esperti in palestra porta con se. Ovviamente non si può fare di tutta l'erba un fascio, ma in generale ci sono degli aspetti comuni a questi atleti che vorrei sottolineare.
Diciamo che noi allenatori ci dividiamo in due categorie, più o meno distinte, quelli che considerano gli atleti maturi come preziosi, e quelli che li considerano dei rompiballe.
Si, perchè un atleta adulto è quasi sempre anche un rompiscatole: è uno che se ci inventiamo una cagata di esercizio si gira di palle e lo fa male, se lo facciamo sfreddare si lamenta, se lo teniamo in battuta mezz'ora s'incazza, se lo mettiamo in coppia col ragazzino scarso ci guarda sbuffando... insomma tutto il contrario di una ragazzina di 15 anni, che qualunque schifezza di lavoro gli facciamo fare sta zitta (vabbè non tutte...lo so) e lavora... al limite si lamenta con le compagne nello spogliatoio.
Siamo tutti buoni a fare i grandi allenatori con i ragazzini, ma con gli adulti? Noooo, non è colpa nostra: sono loro che sono dei rompiballe! Basta con questi grandi, che ce ne facciamo? Anzi guarda, l'anno prossimo direi di non fare più neanche la prima divisione, facciamo solo l'Under 18, cosi i ragazzi giocano lo stesso e questi ce li togliamo di mezzo una volta per tutte.
Mah...
Quante volte ho sentito parole simili, da colleghi allenatori e da dirigenti. Che dire. Io penso che gli atleti maturi siano una risorsa enorme, sia per noi allenatori, in quanto non hanno problemi a dircelo quando non sono d'accordo con noi, sia per far crescere i compagni più giovani. Quando giocavo penso di aver imparato tanto dai miei compagni più grandi, e anche gli atteggiamenti negativi di qualcuno in un certo senso mi hanno fatto crescere, mettendomi di fronte a ciò che era giusto o sbagliato fare in palestra. Ricordo ancora lo sguardo incazzato del compagno "bravo" a fianco a me quando sbagliavo una ricezione, che mi puniva più di qualsiasi urlo dell'allenatore. Ma anche le pacche sulla spalla quando facevo qualcosa di buono, che forse non si aspettavano da me... era come avere 5-6 allenatori in palestra, ciò che sfuggiva all'allenatore, non sfuggiva a loro.
Oggi molti atleti arrivano a 18 anni avendo giocato quasi esclusivamente con persone della loro età; Ma quando l'allenatore gira le spalle un attimo, che succede? Chi gli insegna come stare in palestra e come comportarsi in una squadra? L'allenatore può essere sbeffeggiato, ci si può "passare" quando non guarda, si può sfotterlo alle spalle, come col professore a scuola. Ma coi compagni più grandi è difficile, perchè il "compagno grande" non è un allenatore, e non gliene frega niente se il ragazzino può diventare forte o no: O sei forte ora, oppure devi impegnarti per diventarlo. Punto. Di tute le menate che pensano i dirigenti e gli allenatori non gliene frega niente.
Vorrei fare una proposta provocatoria in questo senso. Basta con le squadre di soli ragazzini, sono secondo me una delle cause principali della bassissima qualità dei giovani oggi in Sardegna. Propongo l'obbligo di due over 28 in ogni squadra under :).
Ovviamente scherzo, ma bisogna iniziare a capire che i giovani devono avere dei punti di riferimento in squadra, l'allenatore non basta.
A proposito... BUON NATALE A TUTTI!

mercoledì 12 dicembre 2007

La Motivazione negli atleti "maturi"

Mi capita quest’anno di vivere in prima persona la gestione dei problemi motivazionali nei gruppi cosiddetti “variegati”, quelli cioè in cui convivono insieme giovani di belle speranze con giocatori evoluti, convogliati insieme per un unico obbiettivo di squadra.
Generalmente si attrezza una squadra giovane per affrontare campionati seniores con l’ausilio di due o tre elementi di tasso tecnico elevato che possano sopperire ad eventuali limiti tecnici e psicologici dei giovani compagni. In una realtà del genere si può ben capire che per un atleta giovane la stagione diventa doppiamente stimolante, sia perché con l’incremento del tasso tecnico aumenta il livello di competitività della squadra di cui il giovane è parte integrante, sia perché durante gli allenamenti l’attenzione, alimentata dallo spirito di emulazione verso i compagni più esperti, rimane sempre elevatissima.
Ci siamo invece mai posti il problema dei cosiddetti “anziani”, in altre parole come si fa a tenere alto il livello di motivazione in atleti cosiddetti “maturi” che devono quotidianamente convivere con i rendimenti altalenanti e le mancanze di continuità dei loro compagni più giovani?
Al di là dei cosiddetti incentivi economici che possono convincere un atleta esperto a mettersi in discussione con un gruppo più giovane è innegabile che ci sia anche una componente psicologica che non bisogna trascurare.
In alcuni casi penso che ci sia una predisposizione naturale per alcuni senior ad accettare questo ruolo di “coach” aggiunto dentro e fuori dal campo (in altri termini non tutti sono disposti a tollerare allo stesso modo la mole di errori e la mancanza di continuità di prestazione di un ragazzo durante gli allenamenti o le partite), per cui questa “missione” di contribuire alla crescita del giovane pallavolista è in questi atleti automotivante.
Ma non sempre questo accade, ed allora l’allenatore deve intervenire cercando quegli spunti affinché il livello di attenzione e di buona predisposizione verso l’obbiettivo comune di squadra rimanga sempre alto onde evitare che si generino preoccupanti situazioni destabilizzanti per il gruppo che talvolta possono portare anche a dolorosi allontanamenti (volontari o coatti).
In cosa consistono questi spunti? Beh si parte dal presupposto che per qualunque giocatore, per quanto anziano o esperto o blasonato, è impossibile che non esistano degli aspetti tecnici o tattici per i quali non ci siano ulteriori margini di miglioramento. E proprio da qui che secondo me bisogna partire, fissando anche con questi atleti dei piccoli obbiettivi tecnici o tattici per i quali ci si aspetta un feedback positivo nel corso della stagione. (ad. es. l’alzata in bagher per un palleggiatore evoluto, o il miglioramento di una direzione del bagher laterale per un ricevitore, o l’alzata per un centrale, o una tecnica difensiva…)
In questo modo si dovrebbe ottenere un duplice risultato:

  • Il livello di motivazione per questi atleti, che non si sentono più soltanto delle “balie asciutte”, dovrebbe rimanere inalterato durante tutta la stagione, finalizzato al raggiungimento del loro obbiettivo individuale.
  • La presa di coscienza di non essere perfetti ma di avere margini di miglioramento li dovrebbe rendere sicuramente più tolleranti nel sopportare le lacune dei giovani compagni.

mercoledì 28 novembre 2007

L'ottica dell'allenatore

Un problema che ho avuto quando ho iniziato a allenare è stato il guardare la partita con il coinvolgimento del giocatore, piano piano ho capito che dovevo guardare la partita da una maggiore distanza, ora mi spiego. Il giocatore valuta i palloni uno per uno, giro alla volta, si concentra nel massimo risultato per la singola palla, se anche l’allenatore usasse quest’ottica non capirebbe la partita, non avrebbe la lontananza giusta per capire l’evolversi della partita e capire su cosa intervenire, diciamo che dovrebbe essere quasi un dottore a bordo campo che cerca di trovare la medicina giusta al suo malato con la lucidità e il distacco che permetta di far funzionare il cervello. Troppo spesso invece presi dall’andamento della gara e il sangue al cervello che annebbia la vista ci troviamo più in palla dei giocatori, cosa che dovrebbe essere evitata ma cosa che è più facile a dirsi che a farsi, sarebbe meglio sforzarsi e guardare la partita da un ottica più lontana, che permetta non di guardare le azioni singole, ma lo sviluppo del gioco nel suo complesso. Tutti subiamo la partita come coinvolgimento e come emozioni, ma i risultati di questa tensione sono i più disparati, dalle urla senza fine ai silenzi, toccarsi i capelli, girarsi, saltare oppure parlare con tranquillità dopo l’errore del secolo. Una cosa però dobbiamo sempre evitare, andare fuori di testa, perché quando una nostra atleta ha i 5 minuti noi la facciamo accomodare in panchina, ma se fuori di testa andiamo noi… allora la partita è finita. Il nostro primo obiettivo è far si che la squadra si esprima al massimo, solo capendo la gara possiamo riuscirci, per fare quello allontaniamoci dalla singola palla e cerchiamo di avere uno sguardo il più ampio possibile, altrimenti con lo sguardo del giocatore si avranno secondo me 2 problemi: l’impossibilità di una lettura generale dalla gara e un coinvolgimento emotivo che ci potrebbe costare la lucidità delle scelte.

lunedì 12 novembre 2007

Spostarsi e fermarsi.

Uno dei problemi più grossi in cui spesso mi imbatto quando inizio a lavorare con un nuovo gruppo è fare in modo che gli spostamenti di gioco, soprattutto di chi non è immediatamente coinvolto nell'azione in corso, avvengano nei momenti giusti. Noi allenatori prepariamo gli atleti ai loro compiti e gli indichiamo le zone del campo dove devono svolgerli, ma spesso trascuriamo di insegnargli come vanno gestiti i tempi tra un compito ed il successivo.
Ok, ok... mi sono spiegato malissimo. cerco di chiarire cosa intendo. A mio parere anche i tempi di spostamento in campo devono essere fortemente legati alla lettura di ciò che avviene nel mio campo o in quello avversario. Il concetto fondamentale è che bisognerebbe effettuare gli spostamenti durante le fasi di volo della palla, mentre nelle fasi di tocco si dovrebbe essere il più possibile stabili e pronti a reagire ad un nostro tocco anomalo o ad una azione avversaria imprevista.
Facciamo due esempi, uno in fase di ricezione e uno in fase break.

1) Sono un attaccante in prima linea non coinvolto nella ricezione della mia squadra. appena l'avversario serve mi sposto il più velocemente possibile nella zona del campo a me assegnata, ma nel momento in cui un mio compagno effettua la ricezione devo essere stabile, con una postura che mi consenta sia di prepararmi per l'attacco sia di intervenire rapidamente in caso di errori. Una volta che vedo la ricezione, mentre la palla è in volo verso il palleggiatore, inizio la mia rincorsa (1° o 2° tempo) o mi preparo a partire (3° tempo).

2) Abbiamo appena attaccato e l'avversario è riuscito a difendere. Esco dalla posizione assegnatami per la copertura e, mentre la palla è in volo e il loro alzatore è in procinto di palleggiare, mi muovo verso la mia posizione preventiva di divesa sul primo tempo. Un attimo prima che il loro palleggiatore tocchi il pallone sono "fermo" e pronto a reagire a ciò che loro faranno. Se l'alzatore avversario non attacca o non gioca il primo tempo, mi sposterò durante l'alzata verso la mia successiva zona di difesa, fermandomi un attimo prima del colpo dell'attaccante per prepararmi alla difesa.

In conclusione, credo che quando è possibile gli spostamenti nella pallavolo devono essere concentrati al massimo durante le fasi di volo della palla, mentre durante i tocchi si dovrebbe essere "fermi" o meglio in una postura stabile che consenta di intervenire anche in situazioni impreviste.

martedì 6 novembre 2007

Arbitro lei è un …!!!!

Ho ricevuto questa mail dall'amico Daco, che invita a riflettere:

"Domenica ho assistito per l’ennesima volta a un’aggressione verbale pesantissima all’arbitro. Allenatore, dirigenti, segnapunti e genitori tutti a dire frasi offensive. Contiamo che sto parlando di una partita under, con la posta in palio inferiore a una pizzetta. Una cosa così esagerata e maleducata che mi ha spinto a scrivere qui due parole. Non è la prima volta che mi capita di assistere a scene simili ma si spera sempre di vederne meno, invece è sempre la stessa storia! Sento spesso lamentarsi che non si riesce a tenere i giovani in palestra, ma scusate un attimo… per tenerle in palestra a sentire parolacce e insegnare dei “bei” comportamenti, lasciamole a casa o mandiamole in piazza! Ci si lamenta di televisione e di modelli da imitare sbagliati e poi… noi andiamo in giro nelle palestre e vediamo scene del genere! L’educazione che pretendiamo nelle nostre palestre, come comportamento, come uso di un linguaggio che non sia quello da “strada” e come capacità di prendere un impegno e portarlo a termine…. dove finisce? Gli arbitri sbagliano ma ci sono modi e modi per dimostrare il disappunto. Mi sono capitati casi di “arbitronemico” cronica, ogni volta che si perdeva una partita la colpa era dell’arbitro e questa cosa veniva trasmessa dai dirigenti alle ragazze con notevoli problemi di comportamento per ogni palla dubbia. Poi anche io mi sono lamentato dell’arbitro, ci mancherebbe, e sono stati casi in cui l’arbitro stava condizionando di proposito la gara, ma parlo di casi rarissimi. Il rispetto per l’arbitro è una cosa che va insegnata ai ragazzi, l’arbitro non è il nemico, non è quello che sbaglia per farci un dispetto, bisogna battere sul fatto che l’arbitro fa parte del gioco, che senza di lui non si gioca!!! Io mi diverto a dire a qualche giocatrice che si lamenta dell’arbitraggio dopo la gara… “quanti errori ha fatto lui? E quanti tu?”.
Daco"

Che dire... tutti ci arrabbiamo quando un errore arbitrale contribuisce a farci perdere un set o una partita, ma la soglia dell'educazione non va mai superata, soprattutto da chi deve essere un esempio per i giovani. Ma il vero problema è che tra gli arbitri la Fipav non può permettersi di fare selezione... con pesanti risultati sulla qualità degli arbitraggi.

mercoledì 31 ottobre 2007

Gardini nella Hall of Fame

Forse non tutti sanno che esiste, nel luogo dove nel 1895 è nato il volley, in Massachusetts (USA), una Hall of Fame dedicata ai più grandi personaggi del nostro sport.
Beh, Qualche giorno fa Andrea Gardini è stato inserito, primo italiano, in quella galleria di campioni, un altissimo riconoscimento che tutto lo sport italiano ha applaudito, come ha ribadito Dino Meneghin con queste bellissime parole:
"E' un riconoscimento universale che lascia senza fiato. E' come per un pittore vedere la sua opera esposta al Louvre. Gardini rappresenta un modo di essere un campione: un atleta che ha vinto tutto dimostrando classe e signorilità. Appartiene alla categoria dei campioni con la C maiuscola. Questo è un successo che porta lustro alla nostra pallavolo."
Come al solito la notizia è passata nel quasi completo disinteresse dei nostri media, troppo impegnati nelle gazzarre politiche, calcistiche e televisive per dedicare un minuto ad un grande sportivo che ha dato e continua a dare lustro alla nostra nazione.
Grazie Andrea... ce ne fossero di più come te.

martedì 16 ottobre 2007

Ancora sulla fase break.

Ritorno su questo argomento per approfondire un commento di Baldereschi (PS ciao Alberto, ci vediamo domenica) al mio post di settembre sulla fase break. Ha puntualizzato un aspetto a mio avviso molto importante, su cui concordo pienamente: distinguere la fase break in due azioni distinte, a seconda che l'avversario attacchi in maniera efficace oppure ci restituisca una palla facile.

Distinguere, almeno per come intendo io la parola, vuol dire praticamente dare disposizioni differenti ai propri per affrontare le due situazioni, allenando entrambe e chiarendo la differenza di comportamento tra le due. Io per esempio, ma credo che anche molti di voi facciano scelte simili, in caso di palla facile chiedo al palleggiatore di disinteressarsi della difesa e di piazzarsi subito in zona d'alzata, affidando ad altri giocatori, solitamente il posto 6 e/o il posto 2 a seconda che il palleggiatore sia in prima o in seconda, di occuparsi dell'appoggio difensivo al posto del palleggiatore.

Il problema principale nell'usare tattiche simili è che tutta la squadra deve avere lo stesso concetto di "palla facile", in modo da comportarsi tutti allo stesso modo ed evitare che alcuni giocatori "leggano" una certa situazione e altri no. L'allenamento alle diverse situazioni è fondamentale nel costruire questa forma di "affiatamento" che porti la squadra ad adattarsi come un unico organismo ai diversi problemi creati dall'attacco avversario.

Come in quasi tutte le forme di allenamento, è importante a mio parere che l'allenatore sovrintenda questo processo prima separando l'allenamento delle distinte situazioni , in modo che ciascuno abbia chiari i suoi compiti in un caso e nell'altro, per poi avvicinarsi alla realtà del gioco mescolando le due situazioni con esercizi sintetici e globali.

martedì 9 ottobre 2007

Gli errori sono tutti uguali?

Una cosa di cui non si parla tanto è l'impatto degli errori, nostri e dell'avversario, sull'andamento della gara e sul rendimento dei singoli giocatori. Eppure chi ha lavorato un pò con gli scout sà che con l'abbassarsi del livello tecnico cresce l'influenza degli errori sul punteggio; spesso anche in incontri di alto livello gli errori sono la causa principale dei punti.
Ragionandoci un pò su, direi che esistono almeno tre tipi di errori:
1) Errori "non procurati" dall'avversario: Sono gli errori la cui responsabilità è dovuta alla cattiva esecuzione tecnica di un'azione di gioco, senza che l'avversario abbia fatto nulla per metterci in difficoltà. Non sempre sono attribuibili ad un singolo giocatore. Un esempio può essere l'attacco in rete dopo una buona alzata, oppure un bagher di appoggio sbagliato, ecc.
2) Errori "indotti" dall'avversario: In questo caso sono gli avversari che, con il loro attacco, il loro muro o la loro battuta inducono all'errore la nostra squadra. Esempi? Un giocatore a muro che abbocca ad una finta, o anche un difensore ben piazzato che viene colpito da una schiacciata avversaria senza riuscire a controllare la difesa.
3) Errori "tattici". Sono tutti quegli errori dovuti alla cattiva esecuzione dei compiti tattici e di organizzazione di gioco. Non sempre hanno come conseguenza il punto per l'avversario, ma più spesso sono causa delle due categorie di errori precedentemente descritte. Un esempio può essere l'errato piazzamento difensivo o un incomprensione tra alzatore e attaccante.

L'abilità di un allenatore nella correzione degli errori sta spesso proprio in questo processo: Capire l'errore, individuarne la causa, scegliere le esercitazioni corrette per eliminarlo. Ovviamente non è facile, soprattutto se a ciò si aggiunge la diversa "sensibilità" all'errore tra gli atleti e gli allenatori. Ho notato, e qui mi piacerebbe sapere se è così anche per voi, che gli atleti considerano errori "importanti" solo quelli non procurati, i più evidenti e i primi che ho descritto. Gli altri due tipi di errore spesso non li considerano veri e propri errori, e il ricorso all'alibi è ancora più evidente (l'avversario ha schiacciato troppo forte, non mi sono messo là perchè..., eccetera).
Trovo sempre molta difficoltà nel far capire all'atleta che è un errore grave anche un piazzamento sbagliato, una disattenzione, il non controllare una palla che ci colpisce, e così via. Capita anche a voi?

Un ultima cosa, che probabilmente meriterà un prossimo post: Mi capita spesso di intervenire su atleti che, per paura di fare un certo errore, ne fanno di più gravi. L'esempio che mi viene in mente è il giocatore che pur di non rischiare di venire murato attacca su traiettorie improbabili schiacciando in rete o fuori. E' evidente che ciò avviene perchè nella sua sensibilità l'essere murati è più grave di schiacciare fuori o in rete (per me ovviamente è il contrario). Ma come dicevo di questo parlerò meglio in un prossimo post.

lunedì 1 ottobre 2007

Azzurre sul tetto d'europa, ma in Sardegna...

Grandi ragazze!!! Un cavalcata vincente (due soli set persi in otto gare, semifinale e finale chiuse con un secco 3-0) che ha dimostrato ancora una volta, se mai qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio, il valore di questo gruppo. Onore anche e soprattutto al grande "Massimone" Barbolini, che dopo aver vinto praticamente tutto con i club, ha dimostrato la sua grande capacità anche come selezionatore e organizzatore di una squadra nazionale. Il tentativo delle ragazze, utopistico vista la stazza del coach, di lanciarlo per aria durante i festeggiamenti indica quanto le ragazze hanno apprezzato il suo lavoro.

Unica nota stonata il fatto che in buona parte della Sardegna, a causa delle trasmissioni su RaiDue, hanno potuto seguire la cavalcata azzurra solo poche persone, visto che il digitale terrestre, nonostante i proclami dei diretti interessati, è ben lungi da essere una tecnologia diffusa e funzionale. Tra l'altro è di questi giorni la notizia che nel resto d'Italia l'oscuramento subito qua da noi sarà rinviato al 2012... Ma noi siamo cittadini di serie B o cosa? Per favore, o ci riattivate le trasmissioni analogiche, ammettendo il fallimento della "sperimentazione", o le togliete anche al resto dell'Italia.

Chiusa la triste parentesi sulle trasmissioni Rai, rimane il sogno regalartoci da questa fantastica squadra. Forza ragazze, Pechino 2008 è vicina, proprio davanti a voi!
GRANDISSIME!!!

mercoledì 26 settembre 2007

Prima giornata di serie C

Non so se ne siete tutti al corrente, ma quest'anno nella serie C sarda c'è una novità... la prima giornata si gioca tutti lo stesso giorno nello stesso posto. Per il femminile il 21 ottobre, domenica, alle palestre del CONI in via dello sport a Cagliari. Per il maschile il 4 novembre, ancora non si sà dove. La domanda fondamentale (vi risparmio gli altri commenti ma ve li potete immaginare) che tutti quelli con cui ho parlato si pongono è semplice: Perchè?

Nel comunicato alle società non vengono spiegati i motivi di questa decisione, che sicuramente crea problemi a tutte le squadre che avrebbero giocato in casa, e probabilmente anche ad alcune di quelle che comunque sarebbero dovute andare in trasferta. Gli orari sembrano poi pensati per un concentramento di minivolley, e non per la massima categoria regionale. Ci sono due squadre che devono iniziare il riscaldamento alle 8:30 del mattino e ben tre gare iniziano tra le 12 e le 14:30... sei squadre in campo all'ora di pranzo!
Molti dicono che sia per costringere i dirigenti ad andare alle riunioni organizzate, guarda caso, in concomitanza. Ma io non credo possibile che sia per un motivo cosi stupido. A parte che i dirigenti potrebbero comunque non partecipare, sopratutto se la propria squadra gioca in contemporanea... ma mi sembra impensabile che qualcuno abbia pensato di muovere 350 persone per far partecipare 25 dirigenti a due riunioni!
Insomma, non riesco a capire il perchè è stata fatta questa cosa... non riesco a trovare un motivo per aggiungere altri problemi alle società, visto che ne hanno già abbastanza. Per favore se qualcuno lo sà, me lo può spiegare? Grazie.

P.S. Un altra cosa che mi hanno fatto notare e che mi fà sorridere, è che quanto disposto dal CR viola apertamente il bando di indizione delle serie C, che recita testualmente all'art. 4: "Tutti gli incontri si giocheranno tra le 16:00 e le ore 20:00 del sabato.". Buffo, no?